VENEZIA – Il caos come conseguenza, laddove la disparità sociale – diffusa e spesso eccessiva tra le persone – è lo scenario dominante, protestato violentemente da parte di chi è corrotto. Un film di finzione, Nuevo Orden, ma non un racconto poi così distante dalla fotografia del Messico contemporaneo.
“Sono arrivato al titolo, Nuevo Orden appunto, perché volevo dare un significato globale, non lo volevo connesso solo alla situazione messicana, così che un brasiliano o uno spagnolo si potesse sentire coinvolto; siamo comunque indirizzati verso un nuovo ordine, serve un cambiamento, ma se non si cambia in un modo giusto, senza comprendere gli altri, sarà in peggio, e sarà quello il nuovo ordine”, dice il regista Michel Franco spiegando la scelta del titolo del film.
Franco miscela l’alta borghesia e il fasto onirico di un matrimonio, mandato all’aria per un’inattesa rivolta: il conflitto sociale come causa di un colpo di Stato. Il fascino della trama risiede non solamente nel guardare il contrasto, che, proprio perché distopico, possiede una propria seduzione, ma anche per il punto di vista scelto, quello della promessa sposa e dei domestici che collaborano per e contro la sua altolocata famiglia. “Questo film era stato pensato cinque anni fa, è come un monito: ‘non arriviamo a quel punto’; cinque anni fa non pensavo che nel momento in cui sarebbe uscito sarebbe stato così vicino a questa distopia, aggravata dalla pandemia: penso ai Gilet Gialli in Francia, ai movimenti di Hong Kong, la gente è scontenta e ho paura che i governi colgano questa opportunità per controllare in modo forte, per cui – ripeto – è un monito per non arrivare a quel punto. Sono cresciuto in Messico e queste cose, come la corruzione, sembrano straordinarie, mentre sono una follia, ma lì si cresce pensandole normali. Si può cominciare a pensare, anche da bambino, che la situazione prima o poi esploderà; la pandemia scuote ancor di più la società, mette alla prova ancor di più le sue modalità di relazione; stiamo vedendo che non c’è empatia per chi soffre di più e cerchiamo di imparare, seppure non abbia fatto il film per dare un messaggio”, continua Franco.
Un sistema politico che precipita e la nascita di quello che ne segue, incredibilmente ancor più angosciante del precedente. “Non so come sarà accolto il film, quando parlo di distopia parlo di un futuro vicino, ma non è detto che succederà: se però le persone lo recepiscono con grande sensibilità significa che sto mettendo il coltello nella piaga; io ho fatto di tutto per non politicizzarlo, ma penso che militarizzare un Paese non sia mai stato positivo. Io faccio parte di quella classe privilegiata che non rappresenta la maggior parte dei messicani: il sistema attuale non permette ai poveri di uscire dalla povertà e quindi per me è interessante come punto di partenza per fare un film, e dal punto di vista commerciale c’è un forte piacere nell’andare al cinema e vedere qualcosa di terribile ma non reale, per questo interessante”, afferma ancora l’autore messicano.
“Io vengo da una comunità indigena, e ho vissuto accanto a persone per cui è difficile avvicinarsi al benessere, alla tutela sociale, tuttavia il film mi proponeva un personaggio dentro questa disuguaglianza e che aveva dei punti in comune con me: Michel chiede sempre un tono specifico nel recitare ed era molto importante sapere di cosa si stesse parlando, interiorizzarlo nel miglior modo possibile, essere cosciente del personaggio, come è il suo cinema; il personaggio è stato duro perché ci porta agli estremi e ci chiede la nostra prospettiva in termini di disuguaglianza, questo film è stato molto denso e abbiamo sempre usato un linguaggio simile tra attori e attrici, il mio personaggio l’ho vissuto molto da vicino, come ragione e come coscienza; è un argomento di cui bisogna parlare, altrimenti continuano razzismo, disparità, arrivando inutilmente all’estremo”, dice l’attrice Monica del Carmen.
“In un certo senso questo film è un grande incubo che si realizza. Non sono un politico, ma il virus attuale ha creato un’enorme confusione. È abbastanza sconvolgente dover mandare un monito in tempo di pandemia, perché pensando al movimento Black Lives Matter, le situazioni si stanno inasprendo: il film è una situazione specifica messicana, ma che fa parte del resto del mondo”, per l’attore Diego Boneta, che continua sostenendo che: “Quando Michel c’ha parlato della sceneggiatura, e l’ho letta, ho pensato fosse un capolavoro in un certo senso, perché cammina diretto, ti permette di identificarti con i personaggi, ti domandi se avresti fatto anche tu come loro; abbiamo fatto tante discussioni con Michel, sui personaggi, sul mio Daniel, che Michel non voleva fosse del tutto cattivo, che si vedesse questa trasformazione, e il pubblico si potesse identificare. È stato un lavoro di squadra con le prove, quasi fosse come fare del teatro dentro al cinema, trasformandoci in una grande famiglia, oltre che essere un film con grandi personaggi femminili dentro e fuori dal set. La distopia è aver girato un anno e mezzo fa, quando nessuno immaginava saremmo stati qui con la mascherina: la scena in cui Monica disinfetta sull’autobus pareva quasi eccessiva e invece…”.
“Con Monica ho fatto quattro film, è la mia attrice preferita, e ho scritto per Diego il personaggio, come interprete lo immaginavo perfetto, come avevo scritto la parte per Naian, c’è molto di lei nel ruolo”, precisa Franco, a cui dà seguito proprio l’attrice Naian González Norvind: “Conosco Michel da tanti anni ed è stato interessante fidarmi di lui, è stato un film difficile da recitare, ma questa sfida mi ha ispirata a volerlo fare: era una sceneggiatura ‘diversa’, sono stata presa completamente, volevo sentirmi nei panni di questo personaggio che affronta tanto; come ha detto Diego, il modo in cui lavora Michel è interessante, che realizza con un linguaggio diverso, la cosa che ricordo di più è il movimento, il camminare, come tessendo insieme le varie parti del film. C’erano scene di 10-15’ minuti: lui vuole i suoi attori come pezzi di un puzzle, per cui è interessante mettere insieme le cose”.
“Sono un regista a cui piace avere più punti di vista, quello che può sembrare naturale e fluido è dato dal dare agli attori la possibilità di un personaggio che possano descrivere in modo più completo: non voglio prenderla dal punto di vista intellettuale, cerco sempre di tenere alto il livello di energia; il mio dop, Yves Cape, mi diceva che era difficile tenere tutto in un’unica scena, specialmente con la gente che s’inserisce nel matrimonio, avevo valutato anche di dover tagliare se necessario”.
Il film messicano del Concorso è una produzione messicano-francese, che I Wonder Pictures ha acquisito per la distribuzione italiana in sala.
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