CANNES – Indaga sul significato nascosto delle cose il film che David Robert Mitchell presenta in Concorso a Cannes, Under the Silver Lake, che va, appunto, ad esplorare cosa può succedere nelle acque oscure che si agitano sotto la superficie di una città come Los Angeles, la patria di Hollywood, la fabbrica dei film e dei sogni. In particolare, attraverso una lunga serie di riferimenti popolari, si interroga su cosa ci sia dietro a quello che più amiamo: “La cultura pop è ormai l’unica cultura, un lago in cui tutti ci bagniamo. I film, la musica e le riviste modellano la nostra cultura, ma alcune cose accadono a nostra insaputa, sotto la superficie dell’acqua”, sottolinea il regista che ha presentato a Cannes, alla Semaine de la Critique, anche i suoi due film precedenti, l’esordio The Myth of the American Sleepover (2014) e It Follows (2015). E a proposito del significato del titolo di questo ultimo progetto, in conferenza stampa ha sottolineato la volontà di mescolare l’elemento acquatico, protagonista di molti film che ha amato, a un quartiere particolare situato ad est di Hollywood, Silver Lake, molto diversificato dal punto di vista etnico e centro della scena alternative rock statunitense.
Il film racconta la storia di un giovane insoddisfatto, Sam (Andrew Garfield), trentenne intelligente e disincantato che sogna un futuro da star, ma che nel frattempo non sembra interessato più di tanto a darsi da fare per lavorare, anche se la sua macchina è stata sequestrata e sta per essere sfrattato dal suo appartamento. La sparizione improvvisa di una ragazza sua vicina di casa, Sarah (Riley Keough), lo spinge a rompere la monotonia della sua vita quotidiana e intraprende una ricerca surreale nella città di Los Angeles, convinto che ci sia un segreto dietro la scomparsa della ragazza.
Il film, a metà tra il thriller e la commedia, è un lungo compendio di citazioni che vanno dai riferimenti cinematografici, ai videogiochi Anni ’90, alle hit musicali; in un percorso esistenziale innestato più che altro dalla curiosità del protagonista che vuole credere in un mondo pieno di misteri, codici e significati nascosti. Nel momento in cui si convince che la scomparsa di una ragazza a malapena conosciuta possa essere la conferma alla sua visione complottista, prende via un lungo viaggio pieno di incontri che lo porta a scoprire il lato oscuro della Città degli Angeli – fatto di scandalo, omicidi, cospirazioni e derive new age – che si nasconde dietro lo sbrilluccichìo di piscine soleggiate e personaggi che animano la vita notturna, aspiranti attori e artisti in cerca di gloria, guru senzatetto e belle ragazze disponibili. Su tutto una serie di simboli misteriosi in codice Hobo, il linguaggio dei romantici “vagabondi per scelta” degli Stati Uniti, gli unici detentori, forse, della verità della città.
Nel team dei selezionatori troviamo l'italiano Paolo Bertolin, già attivo come consulente della Mostra di Venezia, insieme a Anne Delseth, Claire Diao, Valentina Novati e Morgan Pokée.
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Doppio premio per l'Italia, che esce benissimo da questo 71° Festival di Cannes: all'attivo, oltre ai premi a Marcello Fonte e Alice Rohrwacher anche quello a Gianni Zanasi e al documentario La strada dai Samouni di Stefano Savona. La giuria di Cate Blanchett ha schivato le trappole del gender firmando un verdetto sostanzialmente condivisibile