Una timida e sottomessa ragazza di provincia, cresciuta in una famiglia ultra religiosa, arriva a Oslo per frequentare l’università. Il rapporto con i genitori è pressante, fatto di continue telefonate, un asfissiante controllo paterno misto a offerte di sostegno ed empatia che rasentano la manipolazione. La giovane appare totalmente soggiogata, alienata al punto da non riuscire a legare con i suoi compagni o uscire una sera a bere una birra. Fino a che l’incontro con una coetanea molto disinibita, Anja, e la scoperta di una sessualità dirompente e per lei trasgressiva, scateneranno stati di alterazione con frequenti crisi pseudo epilettiche e visioni potentissime e insinuanti. Delineando i poteri paranormali della giovane donna, tra spinte dell’inconscio e possessione demoniaca.
Ecco, all’osso, il plot del notevole thriller Thelma del norvegese Joachim Trier. Nato a Oslo nel 1974, allievo a Londra di Stephen Frears e Mike Leigh, rivelato nel 2011 da Oslo, 31. August, presentato in anteprima a Cannes nella sezione Un Certain Regard e distribuito negli Stati Uniti dalla Miramax. Autore poi di Segreti di famiglia, scritto come gli altri film con Eskil Vogt, e girato in lingua inglese, presentato in concorso al Festival di Cannes 2015, Trier ha una grande padronanza dei meccanismi dell’ansia e dell’angoscia attraverso tutti gli strumenti del mezzo cinematografico, dall’inquadratura al montaggio all’uso delle musiche. In particolare Thelma, accolto con successo al Toronto Film Festival e al BFI London Film Festival, come in altre rassegne ovunque nel mondo, è stato il candidato norvegese all’Oscar (senza entrare in cinquina) e ha ottenuto il plauso unanime della critica anglosassone: per il New York Magazine è una sorta di “Carrie girato da Ingmar Bergman”, mentre il Guardian lo colloca tra Hitchcock e De Palma.
“Sono cresciuto guardando i film di Bergman e Antonioni, ma anche di Brian De Palma – rivela il regista – Inoltre mi ha sempre colpito per le sue implicazioni esistenziali un film come La zona morta di David Cronenberg, una specie di fiaba per il modo in cui racconta qualcosa di profondamente umano all’interno di una cornice soprannaturale. Come cinefilo, insieme al mio amico e sceneggiatore Eskil Vogt ho visto ultimamente molti gialli italiani degli anni ’70 che riescono a toccare temi universali attraverso il cinema di genere”.
Suggestioni di genere, anche italiano quindi, si fondono con una struttura narrativa che pesca a piene mani nell’immaginario nordico, specie nella descrizione dei rapporti familiari e in particolare di quello tra padre e figlia, che si svelerà compiutamente solo nel finale agghiacciante. “Durante la postproduzione – racconta ancora Trier – stavo lavorando a un documentario su Edvard Munch, il celebre pittore norvegese de L’urlo. I suoi dipinti raccontano l’angoscia vissuta dagli esseri umani, ma anche la bellezza, la sensualità, la complessità della gioia nella cultura scandinava: temi che hanno un rapporto stretto con il passaggio all’età adulta e la comprensione di sé da parte dei giovani”. E tra le fonti cita anche Marnie e La donna che visse due volte, oltre a due romanzi di Stephen King (Carrie e Incendiaria) dove le protagoniste “provano a negare il proprio destino ma devono poi affrontarlo come nei miti greci”.
Altro punto di forza del film, che sarà in sala il 21 giugno con Teodora, le due giovani interpreti: l’umbratile Eili Harboe, che si è sottoposta per il ruolo a un autentico tour de force emotivo e fisico, e la conturbante modella Kaya Wilkins, alla sua prima interpretazione.
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