Il Joker che non voleva bruciare il mondo

L'atteso film di Todd Philips in sala il 3 ottobre


Joker, come è giusto che sia, porta un po’ di scompiglio. Alla Mostra del cinema, la proiezione e relativa attività stampa del film con Joaquin Phoenix (vagamente) ispirato alla figura dello storico nemico di Batman ha necessitato attenzione ai controlli di sicurezza, poi sono seguiti gli applausi. E da allora all’uscita in sala, il 3 ottobre, tanto clamore e tante polemiche. C’è chi inneggia all’Oscar soprattutto per l’ottima interpretazione di Joaquin Phoenix, sorprendentemente anche molto fisica. L’attore ha perso peso e lavora con il corpo contorcendolo per mostrare il disagio del suo personaggio, al pari di quello che fa con la smorfia e la risata, che risultano dolorose e sofferte.

Arthur Fleck, così si chiama il personaggio in questa versione, è una persona disturbata. La sua malattia lo porta a scoppiare in risa anche quando vorrebbe piangere o semplicemente scomparire dal mondo. Non è il Joker di Nolan, né quello di Burton, né quello dei fumetti. A dirla tutta, non è proprio il Joker. Pur essendo autorizzato dalla DC Comics, ha l’approccio di un apocrifo. Il marchio della casa editrice non compare in apertura, c’è solo quello della Warner, graficizzato come lo era negli anni ’70, il che inquadra il film anche temporalmente. Una serie di traumatiche scoperte, la malattia di sua madre e soprattutto la classica ‘giornata storta’ lo porteranno a intraprendere un percorso di violenza, l’unico che sembra offrirgli uno sbocco e una risposta.

Tutto il film è, in effetti, giocato su due grosse ambiguità: ‘Joker’ è un termine generico, che può indicare semplicemente il giullare, il buffone, il Jolly delle carte, il clown, l’uomo che ride (del resto Hugo fu di ispirazione proprio al fumettista Bob Kane per la creazione del personaggio), e inoltre, come sa chi ha letto l’epocale fumetto The Killing Joke o ha visto il nolaniano Il Cavaliere Oscuro, il villain non ha un passato ben delineato. Essendo fuori di testa, se lo ricorda ‘in versione multipla’. Questa potrebbe essere una delle sue molte origini. Ma anche semplicemente la storia di un pazzo che, suo malgrado, diventa il simbolo di una battaglia di classe. E il suo trucco diventa il baluardo di un movimento, come la maschera di Guy Fawkes da V per Vendetta, in un’ambientazione anni ’70 sorretta da una fotografia elegante e da un montaggio pulsante e ansiogeno.

“Non c’è niente di autobiografico – precisa subito il regista Todd Philips, conosciuto per lo più per commedie come Road Trip o Una notte da leoni – è diverso nei toni da quello che ho fatto finora, ma è una narrazione semplice. Inizio, sviluppo, fine. Se hai un grande interprete a disposizione lo puoi fare senza problemi. Per la verità sono al di fuori del mondo dei fumetti, e non ho idea di come questo film possa influire sulle scelte della DC o della Warner in futuro. Lo abbiamo concepito come un approccio alternativo al genere, ma i cinecomic vanno già bene, fanno molti soldi, e non hanno bisogno di essere cambiati. E’ probabile che questo film resti un caso isolato. Sicuramente convincere gli studios a farlo è stato molto difficile. Ci è stato utile usare un personaggio che sostanzialmente non ha un passato ben definito. C’era spazio per lavorarci su. Certo abbiamo usato del materiale dai fumetti, ci piaceva l’idea del comico fallito da The Killing Joke, ma ci siamo posti poche regole e pochi limiti. Alcuni aspetti dei personaggi li abbiamo scoperti noi stessi durante le riprese. La violenza che c’è nel film è parte di quest’atmosfera. Potrebbe sembrare un film molto violento, ma se guardi John Wick, per esempio, lo è molto di più! In Joker abbiamo inseguito una chiave realistica, una violenza che fosse un pugno nello stomaco. Abbiamo lavorato molto insieme con Joaquin, sei mesi prima del via alle riprese. 

“Ho lavorato innanzitutto sul tema della perdita – racconta Phoenix – e quindi sono partito dal fisico. Ho perso peso. Cosa che ci aiuta anche sul versante psicologico. Poi abbiamo attaccato la personalità del Joker, e io non volevo che fosse definita psichiatricamente. Cioè non volevo che un medico potesse individuare specificamente il profilo del personaggio. Non ha riferimenti specifici nella realtà. Non pensavo di essere in grado di lavorare su quella risata così sofferta, inizialmente. C’è stato un momento in cui ho pensato di delegarla a qualcun altro. C’è voluto tempo. Todd mi descriveva questa risata come qualcosa di doloroso, ho pensato che fosse un’idea interessante.  Ma non volevo che fosse ridicolo, così ho lavorato su varie modulazioni”.

“Non è un film prettamente politico – aggiunge Philips – questo Joker non è quello di Nolan. Non vuol vedere bruciare il mondo anche se alla fine, il mondo brucia lo stesso. Lui cerca approvazione, e crede che il suo scopo sia far ridere la gente. Naturalmente ho varie ispirazioni, anche se devo dire che Taxi Driver, che molti chiamano in causa, non è tra queste. Ovviamente lo è L’uomo che ride, che è alla base del personaggio”.

“Paradossalmente – dice Phoenix – non penso che questo Joker sia un personaggio tormentato, ci ho passato otto mesi cercando di capire chi fosse e da dove venisse, e discutevo con Todd ogni opzione ma ogni volta facevamo un passo indietro. Dicevamo ‘rifacciamolo, abbiamo sbagliato’. E alla fine abbiamo raggiunto il risultato”.

Il film, prodotto tra gli altri da Martin Scorsese, in uscita in Italia il 3 ottobre, vede nel cast anche Robert De Niro e Zazie Beetz (star di Deadpool).

 

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31 Agosto 2019

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