Stupisce piacevolmente l’esordio alla regia di Giorgio Tirabassi, Il grande salto, commedia dolce-amara sulla ricerca di riscatto, sulla voglia di dare a un certo punto una svolta decisiva alla propria vita, e di farlo ad ogni costo. Un film leggero ma poetico, che richiama alla mente quella commedia proletaria di Sergio Citti, con due protagonisti disperatamente comici, maldestri, sfortunati oltre ogni misura, verso i quali non si può che provare bonaria compassione. Sentimento che pare aver pervaso lo stesso regista che sul finale, forzando un po’ la narrazione e a dispetto degli eventi messi in scena, regala ai suoi personaggi un cambio di umore che smorza il tono amaro conclusivo e apre, nonostante tutto, alla speranza e al sorriso.
La storia è ambientata in un quartiere della periferia romana, dove vivono, poco al di sopra della soglia di povertà, Nello e Rufetto, amici cinquantenni da poco usciti di prigione per un colpo andato a male. Pessimista e disilluso l’uno, ma perennemente alla ricerca di riscatto economico e sentimentale; ottimista e caparbio l’altro, con l’unico obiettivo di non vivere più dai suoceri e comprare quella casa che gli permetterebbe di riscattarsi agli occhi di sua moglie e di suo figlio. Due personaggi disperati, “rapinatori di seconda o anche terza fascia”, li definisce Tirabassi. Ladri, ma solo per scelta narrativa, tant’è che “in realtà potrebbero essere benissimo due commercianti o due studenti, ciò che sta dietro è la feroce voglia di una svolta, il desiderio di fare il grande salto, l’ora o mai più”.
Anche se il film è stato effettivamente girato nella periferia della capitale, non se ne vedono i palazzoni o altri riconoscibili elementi urbanistici: “Non volevamo i riferimenti già troppo abusati della periferia romana, i personaggi sono più malviventi vecchio stile, che hanno poco a che vedere con la criminalità di mafia capitale o con la famiglia Spada”, sottolinea Tirabassi che del film è anche co-sceneggiatore (insieme a Daniele Costantini) oltre che interprete con Ricky Memphis, col quale ricostruisce l’affiatata coppia di Distretto polizia, passando, però, questa volta dal ruolo di guardie a quello di ladri.
Nel cast, tra gli altri, Roberta Mattei, Gianfelice Imparato, Paola Tiziana Cruciani, insieme alla partecipazione speciale di Lillo, Marco Giallini e Valerio Mastandrea, conoscenze di lunga data di Tirabassi che ammette: “Mi è sembrata una scelta facile e abbastanza naturale per il mio primo film chiamare degli amici ad interpretarlo. Sono tutti attori talentuosi che hanno dentro di loro non solo i tempi comici ma anche l’intelligenza di saperli usare quando serve”.
Il film nasce da alcuni sketch esilaranti che Tirabassi ha portato in passato in tournée, dove già comparivano i personaggi di Nello e Rufetto che a teatro, però, assumevano toni decisamente più surreali. “Quando abbiamo deciso di portare i personaggi al cinema abbiamo abbassato i toni e siamo andati verso una messa in scena più realistica, anche se gli succedono comunque cose che fanno pensare all’intervento del destino. Avevo sempre pensato a Ricky Memphis che avevo cercato di coinvolgere anche a teatro più volte, ma senza alcun successo”.
“Il teatro un po’ mi spaventa, sono troppo emotivo – ammette Memphis – al cinema, invece, mi sento a casa e ho accettato subito perché è da tanto volevo tornare a lavorare con Giorgio. La bravura che ha poi mostrato dietro la macchina da presa non è stata per me una sorpresa, conoscevo già qualità di Giorgio, so che è una persona preparata sia sul cinema che sull’arte. Già in passato sul set era sempre interessato al dietro le quinte, anche a livello tecnico. Da regista ha dimostrato di avere le idee chiare, di sapere quello che vuole. Ha poi orecchio e occhio per la poesia, per le immagini, ma anche per le cose non dette e appena accennate, per le pause, gli sguardi, tutte cose che ci sono nel film e che si devono al suo occhio.”
Nelle sale dal 13 giugno in oltre 350 copie con Medusa, “un’armata invincibile – la definisce il regista – l’unica distribuzione che può permettersi il rischio di puntare su un prodotto non immediatamente riconoscibile, come questa commedia dal tono surreale che a un certo punto prende coraggiosamente una piega malinconica. Tutte le altre distribuzioni contattate non ne hanno avuto il coraggio”.
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