“Alle 18 comincia il Giudizio Universale”, “Alle 18 comincia il Giudizio Universale”, “Alle 18 comincia il Giudizio Universale”: l’annuncio tonante si ripete nelle ore della giornata, una voce che sembra diffondersi dall’alto… fende la quotidianità di Napoli.
La distrazione prima e la preoccupazione poi serpeggiano tra la gente, man mano che un conto alla rovescia spinge sulle lancette: la vita cittadina si tesse di storie che Vittorio De Sica – regista de Il giudizio universale scritto da Cesare Zavattini – intreccia con i personaggi interpretati da grandi nomi, da Alberto Sordi a Nino Manfredi e Fernandel, da Vittorio Gassmann a Silvana Mangano e Anouk Aimée, con il cameo di Mike Bongiorno e quello di Mimmo Modugno nella parte di se stessi, per una vicenda tutta partenopea ma curiosamente interpretata da nessun napoletano nelle parti principali.
La Festa del Cinema di Roma 2024 è il l’occasione per presentare il restauro del film del ‘61, a cura di Cinecittà e Filmauro, con la supervisione di Andrea De Sica. Per Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, che introduce la visione accanto a Brando De Sica, nipote di Vittorio, quest’ultimo “ha aperto una strada nel cinema, ha dato autorevolezza al cinema italiano con quattro Oscar e una carriera da attore di prima classe. Il giudizio universale è un film che all’epoca fu massacrato dalla critica ma ebbe successo in sala: rivisto oggi, appare molto diverso da come la critica l’aveva inteso e ringrazio Cinecittà per il restauro del film, titolo della library Filmauro, nei 50 anni dalla scomparsa di Vittorio De Sica”.
La metafora della miseria umana è potente come un diluvio e il titolo non lasciava scampo già oltre 60 anni fa, seppur in prima battuta si chiamasse Un giorno, una voce. Il film, più prossimo al profilo surreale di Miracolo a Milano che al Neorealismo, come accennato da Farinelli, allora ebbe un’accoglienza poco accorata da parte della critica, tanto che Morando Morandini lo definì addirittura “deludente e inconcludente”, ma Gian Piero Brunetta scrisse: “benché la struttura sia sconnessa, nel film brillano alcune pepite della migliore vena aurifera della coppia (De Sica-Zavattini), si ritrova quel calore nell’osservazione di ambienti sottoproletari proprio delle più felici stagioni del regista”. E Brando De Sica non fa giri di parole confermando sia stato “un film distrutto dalla critica; si rifaceva al pensiero ottocentesco, fu accusato di moralismo, nell’epoca in cui arrivava Antonioni, portatore di modernità. Io sono molto legato al film, coraggioso e innovativo: il soggetto fu scritto nel ’45 da Zavattini per Blasetti, un soggetto su ipocrisia, cattiveria, alibi delle persone. È una fiaba surrealistica grottesca, con Il giudizio universale nasce il ‘film grottesco’, che arriva poi nel tempo al cinema dei fratelli Coen. Se penso al personaggio di Sordi, un mercante di bambini, è davvero coraggioso, portatore di tematiche ancor’oggi pericolose da raccontare; riguardarlo con gli occhi di oggi, il film sembra ancor più moderno. Dico grazie a mio cugino Andrea, che con la supervisione al restauro ha portato avanti il lavoro di mio zio Manuel, grazie a Aurelio De Laurentiis e grazie soprattutto a Cinecittà, perché ho paura per il futuro incerto dei film, quanti ne andranno persi? Un quadro, una scultura, rimangono, ma un film? È privilegio poter avere un restauro, per questo motivo stasera c’è qui quasi tutta la famiglia De Sica a celebrare nonno, con questo restauro in 4k”. Per il nipote, il restauro significa “preservare il lavoro di nostro nonno, che spero anche possa essere riscoperto”.
Per Christian De Sica, questo restauro è “una festa! Ringrazio Cinecittà, De Laurentiis e Farinelli, perché questo è un Paese che dimentica facilmente ma per fortuna ci sono persone che ricordano il grande cinema italiano. Il giudizio universale allora non ebbe il successo dovuto, la critica lo massacrò, sì, mentre era un film modernissimo, curioso, ma prima c’erano critici severi, altrettanto grandi conoscitori del cinema”.
Per Farinelli, il film sono “90 minuti in cui succede di tutto, è sorprendente, un esempio formidabile dell’incontro Zavattini-De Sica, due personalità così lontane ma insieme capaci di fare qualcosa di unico”. Nelle intenzioni di Dino De Laurentiis, il produttore, c’era l’intento di ripetere il successo de La ciociara, bissando la coppia sceneggiatore-regista.
Il film, evocando pagine bibliche, si veste subito di contemporaneità, perché Zavattini e De Sica fanno passare la solenne chiamata nominale in diretta tv, dopo che su Napoli s’abbatte un tremendo diluvio che, così come s’è palesato altrettanto in fretta e avvolto nel mistero si rarefà, lasciando spazio al sole e vivendo a malapena nel ricordo della gente, che freme per partecipare al ballo del Duca, vero evento di quella giornata: la fiera delle vanità sovrasta la voce della coscienza.
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