VENEZIA – “Mi chiamo Vincent Manzato, sono nato il 13 marzo 2003 a Trieste, mia mamma è Elena Manzato, sono stato adottato dal signor Mario Topoi e mio papà si chiama Willipoi”. Questo il mantra dell’adolescente autistico protagonista di Tutto il mio folle amore, film Fuori Concorso diretto da Gabriele Salvatores, e interpretato dall’esordiente Giulio Pranno, che restituisce una prova d’attore poetica, credibile al punto d’aver fatto pensare ai più d’essere davvero persona con una forma d’autismo, ed essere celebrato espressamente in conferenza stampa al Lido da parte di più d’un giornalista che ha ammesso la probabilità di un premio, qualora il film fosse stato in una sezione competitiva.“Non avevo mai visto Giulio Pranno perché non aveva mai fatto nulla. Francesco Vedovati, casting director, ebbe l’idea di andare al Centro Sperimentale di Cinematografia e leggere la lista dei non ammessi al corso di recitazione, tra cui c’era Giulio, che aveva deciso a quel punto di lasciar perdere di fare l’attore. Poi però gli abbiamo fatto fare il provino. La tecnica serve, sì, ma relativamente: serve il cuore, il saper rischiare, e il non aver paura, e lui aveva già tutte e tre queste cose. Dopodiché gli attori sono anche autori per me, e dunque anche lui ha scritto il suo personaggio”, racconta Gabriele Salvatores, a cui fa eco Claudio Santamaria, prestando il fianco con ironia all’episodio riferito: “Devo dire che nemmeno io ero stato ammesso al Centro Sperimentale”.
Un Claudio Santamaria che recita il ruolo di Willi, o Willipoi come lo chiama Vincent nel film di viaggio in cui sono un figlio e un padre che si incontrano dopo 16 anni dalla nascita del bambino. Santamaria, il “Modugno della Dalmazia”, un cantante di matrimoni e feste dell’Est dell’Europa: sono infatti i Paesi Balcani la terra d’elezione di questo road movie, un viaggio che visivamente ha echi kustiricani, un “viaggio mediato da uno scrittore che si chiama Shakespeare, che spesso ha preso i suoi personaggi e li ha spostati altrove. Perché? Perché non è importante la meta ma il viaggio, perché rende più indifesi, più vulnerabili, ed è quello mi interessava. Sono nato a Napoli e la prima volta che sono stato a Trieste mi era sembrata simile, ha molte più cose in comune di quanto si pensi: ma soprattutto mi interessavano l’Est e i Balcani, avevamo bisogno di un confine reale e metaforico. I Balcani hanno in comune con la mia città natale una malinconia e una visione fatalista della vita che mi piacevano molto. Trieste è forse l’unica altra città in cui potrei andare a vivere”, spiega Salvatores.
Tutto il mio folle amore è ispirato a Se ti abbraccio non aver paura (2012), romanzo di Fulvio Ervas sull’esperienza reale di Franco e Andrea Antonello: “Li ho conosciuti, sono stato due giorni con loro a casa e Andrea è stato più volte a trovarci sul set, per me l’incontro con lui è stato il momento di maggior fortuna perché mi ha aperto gli occhi sul mio personaggio. Sapevo di non dover fare una macchietta, ma al tempo stesso di dover riprendere la sua essenza: Andrea è una persona magnetica, al di là della sue stranezze. È brioso, coraggioso e tutto questo era già in sceneggiatura, ma mi ha aiutato molto conoscerlo per interpretare Vincent”, spiega Giulio Pranno, che nel film è figlio biologico di Claudio Santamaria e adottivo di Diego Abatantuono, entrambe due figure paterne scritte e interpretate, seppur per profili agli antipodi, con istinto epidermico, protettiva sensibilità, scanzonata ironia.
“Desidero fare i complimenti a Diego Abatantuono, che considero un grandissimo attore: quando decidemmo con Gabriele di accostare tutto il cinema di Diego, il suo corpo, la sua sintassi, all’idea che potesse occuparsi di letteratura – nel film è un editore – poteva essere una rottura di un cliché, volevamo fosse uno che si occupasse di parole: gli ho regalato una pagina di John Cheever, mio autore preferito. Il nuotatore di Cheever, inoltre, vive nel film con la connotazione di Valeria Golino (la mamma, Elena Manzato), sia come struttura mentale liquida, che per il suo rapporto con l’acqua, anche se ammetto che non mi era venuta in mente la connessione mentre scrivevo, questo vuol dire che quell’influenza per lo scrittore è uscita, carsica, senza che me ne accorgessi” dice il co-sceneggiatore Umberto Contarello. “L’acqua è molto importante, soprattutto per Valeria, perché la vediamo la prima volta in acqua e così l’ultima: lei ri-partorisce suo figlio, l’acqua è quasi un liquido amniotico”, precisa Salvatores con riferimento alla figura materna e che, connessa al tema e all’attrice, non può non far accarezzare il pensiero da Rain Man (1988), da lei stessa interpretato: “Sì, ci ho pensato, anche perché oltre che essere due film in parte sull’autismo, sono due road movie, in cui due persone di famiglia si re-incontrano, ri-educano, scontrano, migliorano, anche se questo non era scontato, nonostante il grande bene. Sono entrambi film molto vitali, c’è una gioia intrinseca nella narrativa. Sono ricapitata in una storia così dopo 30 anni: anche se il primo film forse è stato precursore sull’autismo, spero che in questi tempi ne abbiamo una consapevolezza differente, questo è un film più contemporaneo”, dice Valeria Golino, che nel film ha fatto questo figlio con Willi, ovvero Claudio Santamaria per cui: “Qui c’è un folle amore che non riesce ad esprimersi appieno. Il lavoro è stato molto interessante, soprattutto sorprendersi, grazie alla sensibilità di Gabriele e Giulio. C’è stata una grande libertà espressiva, dovevamo essere sorpresi da ciò che ci risuonava dentro, anche all’altro attore: ci siamo ‘seguiti’ a vicenda nelle improvvisazioni. È stato un viaggio che ha riflesso il viaggio interiore di scoperta. Willi non sa che Vincent è autistico, per cui non lo tratta con falso pietismo, lo tratta da pari: attraverso questo rapporto Vincent esprime liberamente il suo folle amore, diventa uomo, come io scopro di saper essere padre, ricucendo l’antica ferita che mi ha fatto fuggire 16 anni prima”.
Un viaggio geografico, un viaggio emotivo, ma anche un viaggio musicale, non solo perché Santamaria interpreta un cantante (riproposta di un ruolo che gli è fortemente nelle corde e che ha fatto ricordare la bella interpretazione che regalò già con il Rino Gaetano televisivo), figura che indubbiamente incanala la più parte delle note orchestrate da Salvatores, ma proprio per l’uso viscerale che il regista fa della colonna sonora, molto datata anni ’70, sin dal quel Vincent che dà nome al protagonista e canzone americana del cantautore Don McLean, che dolcemente canta la metafora del film:
Now I understand
What you tried to say to me
And how you suffered for your sanity
And how you tried to set them free
They would not listen, they did not know how
Perhaps they’ll listen now
Tutto il mio folle amore – prodotto da Rai Cinema e Indiana Production, con EDI Effetti Digitali – esce in sala dal 24 ottobre.
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