Cos’è il “filo invisibile” che corre nell’esistenza di Leone (Francesco Gheghi)? È la complessità di una scelta genitoriale che un adolescente impara a leggere con una sapienza emotiva magistralmente educata e sfamata da due altri esseri umani, la sua famiglia.
Leone ha 16 anni, e due papà, Paolo (Filippo Timi) e Simone (Francesco Scianna). Il primo, – “architetto con grandi ambizioni, che per adesso ha abbandonato per dedicarsi al suo negozio d’arredamento, ma a me incoraggia tutti i giorni a seguire i miei sogni”, ci racconta Leone (nel film); il secondo, antropologo che ha lasciato la carriera universitaria per gestire un ristorante, “spiritoso, atletico e sicuro di sé … mi ha insegnato molte cose”.
Viola Prestieri e Valeria Golino alla produzione di questa storia – Il filo invisibile – affatto “solo” concentrata su una delle possibili sfumature del concetto di “amore” o, più banalmente ancora, sul troppo semplicemente argomentato tema dell’inclusione e dei suoi derivati. “Il film è una lettera d’amore. Ho avuto la fortuna di partecipare al film, di conoscere i figli di Marco (Simon Puccioni, il regista) e chiedergli molte cose, e le risposte che mi hanno dato sono le stesse che avrei dato io se mi fossero state fatte quelle domande. Io non credo alla parola ‘normale’, ma che questa sia la storia di una famiglia che si ama e che ha il coraggio di non aver paura”, dice Francesco Gheghi, 18 anni, figlio, inoltre, di una generazione sociale che all’apparenza pare tutta disponibile all’accettazione in generale ma “Non tutti i miei coetanei sono così evoluti: sta avvenendo un cambiamento ma credo che l’evoluzione si crei se c’è una famiglia alle spalle che insegna intelligenza, valori e amore. Io stesso vengo da un paesino, dove molti discorsi sono ancora tabù”.
“Io andrei in guerra per l’amore, ma non potrei farlo, perché l’amore prevede solo abbracci”, afferma appassionato Filippo Timi.
La vita di Leone comincia da Tilly, americana, compagna d’università di Simone, che lo ha partorito in California: ha aiutato i due uomini, “due innamorati che stavano insieme da 5 anni e si sentivano pronti per mettere su famiglia”, a fargli vedere la luce del mondo, che nella sua crescita è corrisposto all’Italia.
“Io non penso che questo film sia una favola, ed è la sua forza. Vedo una famiglia con le sue fragilità, i suoi casini, i bisogni che vanno in mille direzioni, e l’amore… Non credo che stiamo lottando a dimostrare che tutto sia bellissimo e funzioni, per cui dev’essere accettato. Nel film, io crollo come essere umano, ma la cosa meravigliosa è che la creatura che ne esce più matura è Leone, quindi l’amore è funzionato, quindi è una vittoria”, per Francesco Scianna.
La famiglia di Leone è stata in prima linea in ogni battaglia per la tutela dei diritti delle “famiglie di tutti i colori, come la nostra”, come lui stesso racconta nella clip che sta preparando per la scuola, insieme a Jacopo, il suo migliore amico. “Il tema è una delle costanti del mio cinema; il mio primo film, Quello che cerchi (2001), già parlava di una paternità putativa”, dice Marco Simon Puccioni. E con questi temi, come si fanno i conti con la libertà artistica? “Forse sarà per questo che faccio un film ogni tanto, cerco di raccontare storie che m’interessino e ringrazio Netflix, che ha accolto il copione con entusiasmo, mentre altrove ho trovato resistenze, forse perché erano fonti più legate alla nostra politica e avevano magari dubbi a entrare nell’argomento per paura di urtare una parte piuttosto che l’altra”. Certo, “un Paese intelligente non cerca di sfruttare un argomento per dei voti, ma dovrebbe proporre leggi che non permettano esistano episodi di sfruttamento, che regolino la naturalità del voler diventare genitori, anche perché la scienza e la solidarietà umana la rendono possibile”.
Ancora, quella di Leone è una sessualità che, per la sua storia famigliare, si barcamena continuamente in bilico tra ambiguità e pregiudizio – “mi hanno dato del frocio per tutta la vita per via dei miei”, finché s’avvicina alla sua prima storia d’amore con Anna (Giulia Maenza), momento che riflette anche la caduta in crisi del nucleo più intimo dei tre. Un tempo di smarrimento che agisce da propulsore per Leone, per capire l’essenza della scelta di Paolo e Simone e di tutte le persone che hanno desiderato la sua nascita (o tutte le nascite che sono specchio della sua). Non senza un colpo di scena. “Finché tu non riesci ad abbracciare la tua ferita personale, anche se ‘ce l’hai fatta’ ad andare avanti, ti chiedi: ‘a che prezzo?’. Seppur, come me, ci sia andato di intelligenza e di forza, penso che il grande artista – e non lo sto dicendo riferito a me – sia grande non ‘malgrado’ le fragilità, ma ‘grazie’ ad esse. Io ho avuto una famiglia che mi ha insegnato questo, non quella naturale, ma quella del teatro, che mi ha dato la base per cercare di esprimere la parte migliore di me”, racconta Timi.
Puccioni – tocco delicatissimo quanto leggiadro e sicuro nel trattamento della storia e delle psicologie – si balocca con una regia vivace e dinamica, coadiuvata anche dagli interpreti che stanno al gioco con la macchina da presa e con i differenti registri della recitazione – con cui si conferma magistrale Timi, sia quando scruta l’intimità dell’animo, sia quando narra la leggerezza di “tutti i giorni”, tono che corre felice e efficace per l’intero film.
Nel cast anche Valentina Cervi, nel ruolo di Monica – sempiterna amica della coppia – e Nichi Vendola, nella parte del sindaco che unisce civilmente la coppia e che poi accetta di ufficializzare l’atto che riconosce entrambi gli uomini come parimenti genitori di Leone, anche se “potrebbe essere annullato”.
La versatile colonna sonora è stata curata da Pivio e Aldo De Scalzi.
Il filo invisibile viene distribuito in cinema selezionati il 21-22-23 febbraio, e su Netflix dal 4 marzo.
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