Si parla molto di fantasmi nel cinema. E specialmente in quello più recente. Pensate a Another End di Piero Messina, per citare solo un esempio, dove si immagina la possibilità di accomiatarsi dai propri cari per interposta persona. Sicuramente è anche un modo per elaborare sullo schermo l’idea, così lontana dalla nostra società contemporanea dedita all’accumulo e alla frenesia esistenziale, della morte dal punto di vista di una spiritualità non necessariamente religiosa. Abbiamo bisogno di credere che i nostri cari siano ancora accanto a noi, che ci possano vedere e proteggere, anche se noi non li vediamo, che possano in qualche modo comunicare con noi.
Spirit World – presentato in concorso alla 19ma Festa di Roma in Progressive Cinema – affronta il tema della permanenza dopo il trapasso e della relazione che in qualche modo continua con i vivi, ma anche della relazione che si instaura tra i morti, producendo risultati inattesi e benefici. E’ un film singolare, molto lento e poetico, ma anche molto fantasioso, a tratti buffo, diretto da un celebre regista di Singapore, Eric Khoo, e interpretato da una star internazionale di prima grandezza ancora molto attiva (l’abbiamo appena vista nel ruolo di se stessa in Marcello mio accanto alla figlia Chiara Mastroianni) come Catherine Deneuve. Anche questa non è una novità ma anzi direi una tendenza consolidata, con gli esempi di Isabelle Huppert nei film di Hong Sang-soo o di Juliette Binoche in La verità di Kore-eda Hirokazu ma anche nel delizioso Il gusto delle cose del vietnamita naturalizzato francese Tran Anh Hung.
In Spirit World, Deneuve è la cantante Claire Emery, molto amata da diverse generazioni di giapponesi per le sue canzoni d’amore intrise di dolce malinconia. Segnata da un grave lutto – la perdita della figlia, spirata tra le sue braccia – accetta di partire per una tournée nel paese del Sol Levante ma, la sera dopo il concerto sold out a Tokyo, perde i sensi e la vita in un bar, dopo aver bevuto copiose dosi di sakè. In effetti non muore davvero ma si sdoppia. Una parte di lei comincia a vagare per le strade notturne come niente fosse incontrando l’anziano Yuzo (Masaaki Sakai), suo grande ammiratore e collezionista di dischi in vinile, che inizia a guidarla in un viaggio di scoperta e di guarigione. Ciascuno dei due parla la propria lingua, ma si capiscono perfettamente e si uniscono con un fine comune in cui esprimeranno il loro sentimento di genitori. Non stiamo svelando o spoilerando perché questo avviene all’inizio del film.
Per i giapponesi non c’è niente di strano. Tanto è vero che hanno una festa, Obon, in cui i defunti tornano per qualche giorno a riunirsi con le proprie famiglie. Cosa che accade anche a Yuzo, che ha un figlio, regista di film di animazione in crisi, depresso e dedito al bere. La vicinanza amorevole del padre, insieme alla cantante francese, potrebbe produrre un effetto anche sulla sua vita.
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