Il cinema salvato dal documentario?


A. De LilloIl boom del documentario è ormai un dato di fatto, anche in Italia: escono in sala, vincono i festival, conquistano il pubblico più vasto i film non fiction, da Michael Moore a The Corporation. Forse anche perché portano nuova linfa a una fiction sempre più di maniera.

Tuttavia la riflessione teorica sul fenomeno non è altrettanto avanzata, almeno secondo Giovanni Spagnoletti, docente di storia e critica del cinema, direttore del festival di Pesaro, animatore di una rivista militante come “Close up”. Proprio al numero 16 del quadrimestrale tocca affrontare a tutto campo l’argomento, partendo dalle considerazioni di un filosofo come Pietro Montani, che parla di cinema “testimoniale”, per comprendere molte delle figure della non-fiction, tra verità e verosimiglianza. La redazione della rivista, che esce corredata dal dvd di un film considerato esemplare di questa tendenza come Un homme sans l’Occident di Raymond Depardon, ha scelto il Torino Film Festival, patria del cinema del reale con le molte sezioni dedicate proprio al documentario, per lanciare una sfida ai cinefili “oggi spesso residuali, legati ancora a una formazione anni ’90”, come dice Spagnoletti.

“I cineasti, e non solo quelli alla Godard, hanno praticato nuove strade e riflettuto sull’uso dei codici e sulla verità del racconto”, sintetizza Mazzino Montinari, che insieme ad Antonio Pezzuto, ha raccolto testimonianze di Silvano Agosti, Paolo Benvenuti, Eugenio Cappuccio, Guido Chiesa, Antonietta De Lillo, Davide Ferrario, Salvatore Piscicelli, Marco Piccioni, Eros Puglielli, Corso Salani, Fabio Segatori, Daniele Vicari. Volutamente non documentaristi puri, alla  Daniele Segre, ma autori capaci di contaminare, in forme diverse e con esiti diversissimi, esperienze attinte dalla realtà, usando luoghi e spazi autentici o, ad esempio, non attori come interpreti. Un confine labile se si pensa al mockumentary (il falso documentario) o viceversa al documentario di propaganda. “Antonietta De Lillo riflette ad esempio Mazzino Montinari nasce come documentarista e porta questa linea anche in un film apparentemente lontano, perché letterario e in costume, come Il resto di niente, sia per l’uso degli attori che della camera”. Decisiva la capacità di testimoniare le contraddizioni, come nell’idea di cinema rivendicata da Davide Ferrario (Dopo mezzanotte), che vuole cogliere tutte le ambiguità e i paradossi dell’esistente. “Quando quindici anni fa realizzai il mio documentario sulla Lega Lombarda feci arrabbiare tutti: sia i leghisti sia quelli di sinistra. Entrambi volevano un contenuto che confermasse le idee che avevano”.

autore
19 Novembre 2004

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