Un intrigo internazionale, Il caso Alex Schwazer. Un caso morale, un dibattito sociale, un contraddittorio personale.
Due attanti – l’atleta olimpico, marciatore, Alex Schwazer (attualmente, 38 anni), l’allenatore integerrimo Sandro Donati – e la messa in crisi delle loro due esistenze, così come del sistema antidoping: la docuserie – 4 episodi ideati e diretti da Massimo Cappello – racconta, per la prima volta, il dietro le quinte di una vicenda la cui architettura complessa è stata appunto “un caso”, per lo sport così come per la giurisprudenza; la voce di ciascuno per la propria verità.
L’Episodio 1 racconta che dopo la vittoria alle Olimpiadi Alex Schwazer sembrava avere tutto. Ma dietro la fama e la gloria nascondeva un forte disagio che lo avrebbe condotto su una strada pericolosa.
C’è lui, al centro di una stanza, al centro della scena: Alex Schwazer comincia il suo racconto per la serie battendosi sul petto la mano sinistra, come a sottolineare un “io” non verbale, come ad amplificare – a se stesso e al pubblico – che il centro della questione sia proprio lui, non tanto una sottolineatura egoica, quanto a restituire il peso vessante che ancora porta addosso, e che forse mai si solleverà dal suo vivere: “un caso di doping non è mai uguale, specialmente con una vicenda come la mia”, così comincia la narrazione soggettiva, personalissima quanto d’eco collettivo, sociale.
“Quello che è stato fatto a Schwazer è senza pietà”, “atleticamente l’hanno ucciso”, “questo crucco comunque ‘a da morì ammazzato”, “lui adesso ha l’idea di avere a che fare con delle entità spietate”, “è un grande talento, spaventa per questo” ma anche “avevo paura andasse fuori di testa”, “perché non era una storia di sport ma una storia di mafia, una cosa spaventosa”: così il team sportivo, i detrattori del settore, la procura della repubblica, la famiglia, finché lo stesso Schwazer ammette: “non sapevo come arrivare al giorno dopo”.
Con un montaggio classico nel contenuto – repertorio, interviste, sequenze delle gare, delle natìe montagne altoatesine, dalla casa di famiglia – ma dinamico nella visione, in cui tutto si sussegue perché tutto così s’è inanellato nella realtà vissuta – il racconto pubblico e quello intimo, di sé e del suo cerchio, quello del nido sportivo così come quello genitoriale. Il tutto supportato da un sottofondo musicale palpitante, come un cuore inquieto.
Tra le testimonianze anche quella – non scontata – della fidanzata del tempo, la pattinatrice Carolina Kostner: “ho fatto quello che mi ha chiesto, perché mi sono fidata di lui”.
Il racconto procede poi nei capitoli dell’Episodio 2, dedicato a una confessione scioccante che stravolge completamente la vita di Schwazer e porta gli investigatori a mettere in dubbio le sue vittorie e a cercare possibili complici; dell’Episodio 3, in cui mentre i risultati di Schwazer migliorano sotto la guida di Donati, c’è chi prova a bloccare il ritorno alle gare dell’atleta. Un database incriminante diventa pubblico; e infine l’Episodio 4, dove mentre Schwazer lotta per l’assoluzione, in un processo ad alta tensione, cominciano a trapelare email e irregolarità nei risultati dei test, un capitolo della storia che parte della scelta di partecipare alle Olimpiadi di Rio 2016, e partire da un albergo di periferia, letteralmente, dove soggiornava in Brasile l’atleta, lontanissimo dal Villaggio Olimpico, seppur lì ci fosse arrivato da innocente: “eravamo lì come persone emarginate”.
La serie – prodotta da Indigo Stories – esce su Netflix dal 13 aprile.
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Diretto da Bobby Farrelly, il film uscirà in streaming il 18 dicembre su Paramount+
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