‘Il burattino e la balena’, inno alla disubbidienza, pensando a Totò

L’intervista a Roberto Catani, in Orizzonti - Corti con un’animazione realizzata con Oilbar su carta: “la storia di un bambino che non vuole adeguarsi al modello sociale dominante. Il male verso il quale si ribella Pinocchio è il male della società contemporanea”


VENEZIA – Il burattino e la balena è un titolo evocativo, Pinocchio è lì… ma quello che sembra evidente non è, perché quella del cortometraggio animato di Roberto Catani, sceneggiatore e regista, è la storia di un burattino che non diventa un bambino. Il film, a Venezia81, partecipa nella selezione di Orizzonti – Corti.

Roberto, ha preso un classico, ha guardato negli occhi Collodi, e ha rovesciato la tradizione?

È un’osservazione correttissima. Il film è partito, come idea, tanti anni fa, sto parlando del 2017-2018: mi è venuto in mente di spiegare la storia di un bambino che non volesse adeguarsi al modello sociale dominante. È un film che voleva essere una sorta di inno alla disobbedienza, o istigasse la disobbedienza, e la parola ‘disobbedienza’ mi ha portato a Pinocchio, il disobbediente per eccellenza. Oltretutto, mi è stata molto utile la scelta di Pinocchio perché, già di per sé, è un bambino diverso dagli altri.

Tra l’altro, Pinocchio, classicamente, è riconoscibile con un’iconografia abbastanza specifica, mentre lei sceglie di donargli un design inusuale, quasi alieno: da che suggestione arriva, che immaginario riflette, perché ha cercato questa estetica?

L’estetica arriva da anni e anni di lavoro e di ricerca sul disegno, non solamente per Pinocchio, anche per i miei film precedenti. Questo Pinocchio nasce da centinaia e centinaia di schizzi di lavoro sulla forma stessa del personaggio. Il fatto che fosse apparentemente un alieno è cercato, perché volevo un personaggio che fosse completamente, totalmente, diverso dall’umano, come se appartenesse a un altro pianeta, perché era proprio quello che tentavo di raccontare, era quello il punto di vista, o meglio quello dell’umanità che sceglie di non diventare umana. C’è un po’ di tutto dentro questo personaggio, è un po’ tutti i miei personaggi passati, ma c’è anche un adeguamento a forme che mi sono servite per studiare anche il movimento.

Infatti, per la ‘recitazione’ del burattino sembra essersi ispirato alle gestualità del mimo, a qualche tipo di danza: come ha pensato si dovesse muovere per esprimere la personalità che ha scelto di affidargli?

Mi ero immaginato di provare a muovermi io stesso, ma non ci sono riuscito: avevo in mente i movimenti di un personaggio irriverente, dispettoso, allo stesso tempo buffo, forse ironico, così ho ricordato il Pinocchio interpretato da Totò in Totò a colori del ’59. Quindi, mi sono studiato quel movimento e andava a pennello, calcava a pennello per il mio Pinocchio.

Dei tanti personaggi che popolano l’esistenza del burattino tradizionale, perché ha scelto proprio la balena? Chi o cosa è ‘la balena’ del tempo presente?

Mi sono ispirato dal modello biblico al Moby Dick: il male verso il quale si ribella Pinocchio è il male della società contemporanea, di quel un modello sociale, politico, economico, soprattutto imposto, che non vedo positivamente, e non solo io. Quindi, la balena rispecchia questo modello e infatti Pinocchio viene inghiottito da questo modello e si ritrova con gli umani, prima della trasformazione. L’edificio che si vede rispecchia alcuni edifici specifici tra cui la Borsa di New York: ci sono in sottofondo anche le voci e il rumore della Borsa, lo scampanellio dell’avvio dei giochi di Borsa, ma ci sono anche i bambini, ci sono le casse del supermercato; ci sono alcuni riferimenti, più sonori che visivi, a quel modello sociale ed economico da cui Pinocchio sta scappando. La balena rappresenta un po’ tutto questo.

Nel film si tratta anche il tema dell’essere e del sembrare, il concetto di mascheramento.

Molto banalmente, l’ho reso attraverso le forme che ho disegnato per la differenza formale tra il Pinocchio e i bambini, una differenza relativa perché, nei volti dei bambini, si recuperano un po’ anche le forme di Pinocchio: ho provato a raccontare il concetto attraverso le forme, senza starmi a costruire chissà quale percorso mentale.

E, a proposito di forme, una forma e una metafora suggestiva è quella della scala, in cui il ‘falegname’, quindi il ruolo paterno, assume la forma di una scala appunto, dunque di un cammino che – se percorso – potrebbe offrire un’opportunità… Dove conducono quei gradini?

L’adulto è il modello che s’impone, che s’impone gentilmente diciamo così, che indica a Pinocchio un percorso: ‘segui il mio percorso e sarai come me’, più o meno. Questo è quello che un po’ tutti gli adulti fanno nei confronti dei più giovani, imporre modelli già esistenti: quindi, la trasformazione è la trasformazione da modello paterno, modello creatore, a modello sociale e umano da seguire.

Il film è realizzato con la tradizionale tecnica del disegno animato e l’uso di Oilbar, bastoncini a olio per dipingere e disegnare direttamente su carta: qual è il valore artistico, il valore emotivo e quindi il valore aggiunto di aver scelto questa tecnica?

L’Oilbar che utilizzo è incolore, trasparente. Il colore è dato prevalentemente dai gessi colorati, dalla tipologia di gessi che utilizzo, che hanno delle tonalità pazzesche, e anche in parte dai pastelli. L’Oilbar mi è servito tecnicamente per impastare il pigmento del gesso, per farne quasi una pittura; allo stesso tempo, mi è servito perché il grasso dell’ Oilbar permette un’essiccazione molto lenta, quindi il ritorno con i colori, ma anche con la punta secca, quindi graffiando e portando via il colore. Mi piace tantissimo l’effetto vibrato e consideri che io stendo il colore esclusivamente con le mani, a parte quando chiaramente utilizzo le matite, ma con le matite colorate faccio solamente dei ritocchi finali, ma tutto il gesso e tutto l’ Oilbar sono dati a mano, mi imbratto completamente e l’Oilbar mi aiuta tantissimo, mi dà una vibrazione che con altre tecniche non sono riuscito a trovare.

Si sa, la Francia è un faro per il cinema d’animazione e lei ha realizzato questo film co-prodotto con loro: qual è stato l’apporto produttivo del nostro Paese, in cosa ha fatto la differenza, e come invece è stata indispensabile la parte francese?

L’apporto produttivo italiano è stato fondamentale, soprattutto da parte di Withstand, sono stati loro a cucire rapporti con MIYU Productions: loro sono stati il tramite tra me e la parte francese. La Francia è stata importante a sua volta, perché ha fatto degli investimenti, soprattutto attraverso Arte, CNC, oltre che MIYU Productions, per coprire determinate parti della produzione. E poi, come successo per il mio precedente film, Per tutta la vita, abbiamo avuto il contributo della Marche Film Commission, decisivo per portare a compimento tutto. Quindi, l’approccio italiano è stato determinante. È chiaro che la sensibilità che c’è in Francia qui ancora non ci sia, purtroppo: la Francia ci ha aiutati a coprire gran parte delle spese che abbiamo incontrato per la produzione, soprattutto per quanto riguarda le musiche e le mie due collaboratrici: senza di loro, senza Viola Mancini, senza Mariangela Malvaso, non sarei arrivato a Venezia.

Il burattino e la balena è una co-produzione Italia-Francia: MIYU Productions, Withstand; in collaborazione con ARTE France.

 

 

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