BERLINO – Fine Anni ‘70, l’illusionista Uri Geller sembra sia in grado di piegare chiavi e cucchiai con la sola forza del pensiero. Dopo aver assistito alle sue esibizioni televisive, un po’ in tutta Europa una serie di bambini – chiamati, poi, minigeller – cominciarono a manifestare poteri simili. Dal 1975 e il 1980, due professori universitari italiani iniziarono a condurre studi su alcuni di loro, raccogliendo tutti i risultati dei loro esperimenti scientifici in un dattiloscritto mai pubblicato. Nessuno di questi esperimenti – che consistevano prima in incontri domestici e poi studi all’interno di laboratori universitari – arrivò alla dimostrazione scientifica dell’esistenza di un fenomeno paranormale.
Proprio a queste vicende si ispira l’esordio al lungometraggio di Antonio Bigini, Le proprietà dei metalli, in anteprima al 73mo Festival internazionale del cinema di Berlino nella sezione Berlinale Generation Kplus, ambientato in un paesino di montagna dell’Italia Centrale, dove Pietro, un bambino cresciuto da un padre duro e asfissiato dai debiti, manifesta le misteriose doti di piegare i metalli con un semplice tocco. “Tutto è nato da un incontro con una persona che aveva collaborato con il centro di studi parapsicologici di Bologna, che aveva studiato il fenomeno”, racconta il regista. “Ho conosciuto il fisico Ferdinando Bersani, il quale ha condiviso con me materiali, ricerche, fotografie. Mi ha immediatamente colpito, l’immaginare come si dovessero sentire questi bambini studiati come topi di laboratorio, che si ritrovavano di colpo oggetto di attenzione, richieste, sperimentazioni”.
Come il protagonista del film, tutti i bambini studiati all’epoca presentavano alcune caratteristiche psicologiche e sociologiche in comune: vivevano in campagna, provenivano da famiglie tendenzialmente umili e con una certa disfunzionalità affettiva al loro interno. “Non so dire rispetto alla verità delle cose, ma l’idea che mi sono fatto sul perché questi bambini accettassero di essere analizzati – dice il regista – è che ci fosse in loro un certo desiderio di visibilità ma anche di riscatto sociale”.
In nessun momento del film si vede un’inquadratura che mostri Pietro piegare effettivamente i metalli. Tutto è fatto intendere, lasciato, in qualche modo, allusivo: “Mi sono interrogato a lungo se mostrare o meno direttamente il fenomeno, ma poi a un certo punto la decisione è stata chiara. Ho scelto di non far vedere, perché il film riguarda il tema dell’invisibile, sia applicato alla natura che alle relazioni umane. Volevo evidenziare e interrogare la presenza del mistero e lasciare al pubblico la risposta: chi ci crede leggerà il film in un certo modo, chi non ci crede in un altro”.
Rispetto all’ambientazione del film negli Anni ’70: “Rispettare il periodo di ambientazione è stato essenziale perché questa storia non potrebbe svolgersi nella nostra epoca e nella nostra società in cui non c’è più spazio per il mistero. In quegli anni tutte le reti televisive europee, anche la Rai, erano invase da trasmissioni sul paranormale, era lo spirito dei tempi”.
Il film è stato girato rispettando protocolli green nelle meravigliose location dell’Appennino tra l’Emilia- Romagna e la Toscana. Prodotto da Kiné con Rai Cinema e con il sostegno di Emilia-Romagna Film Commission e Toscana Film Commission.
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