I sogni mostruosamente proibiti di Ben Stiller

L'attore e regista parla del nuovo film, basato su un racconto di James Thurber, già portato due volte sullo schermo


In uscita il 19 dicembre I sogni segreti di Walter Mitty, diretto e interpretato da Ben Stiller, che presenta a Roma la pellicola. Il film si basa sul racconto The Secret Life of Walter Mitty scritto da James Thurber nel 1939, e già portato sullo schermo in un celebre musical del 1947 (Sogni proibiti) e perfino – come ricorda un collega in conferenza stampa – da Neri Parenti nel 1982 (Sogni mostruosamente proibiti con Paolo Villaggio). Mitty è un moderno sognatore, editor fotografico di un magazine importante, che compie regolarmente dei viaggi mentali lontano dalla sua noiosa esistenza, entrando in un mondo di fantasie caratterizzate da grande eroismo, appassionate relazioni amorose e costanti trionfi contro il pericolo. Ma quando si decide di chiudere il giornale, Mitty e la sua collega, della quale è segretamente innamorato (Kristen Wiig), rischiano di perdere il lavoro. Walter è costretto a compiere l’inimmaginabile: passare veramente all’azione – partendo per un viaggio intorno al mondo più straordinario di quanto avrebbe potuto mai sognare, alla ricerca del celebre fotografo O’Connell (Sean Penn) e di una foto perduta che dovrebbe essere l’immagine per l’ultimo numero della rivista ‘Life’.

Possiamo parlare di film autobiografico, in qualche modo? Il viaggio di Walter Mitty è anche quello di Ben Stiller?

Ogni volta che si realizza un film ci si mette a confronto con sé stessi, con la situazione in cui ti trovi in quel momento come persona, quindi sì, c’è dentro parte di ciò che provo e vivo. Cerco di cogliere l’opportunità di fare cose che non ho mai fatto, spingendomi anche su territori ‘scomodi’, il che mi dà molte soddisfazioni. Sicuramente lo stile del film, più malinconico del mio solito, è stato dettato in gran parte dalla sceneggiatura. E’ un film anche pieno di sentimenti, ma che fosse una nuova esperienza l’ho capito pian piano, durante il montaggio e le proiezioni per il pubblico. Ormai non consideravo più la pellicola in base a quante risate suscitasse. Ho capito che c’era una connessione maggiore a livello di emozioni, non mi sentivo più obbligato a essere buffo o divertente. Questa cosa mi ha stimolato e a tratti anche spaventato, ma è stato un modo per non adagiarsi.

Lo spunto viene da un fatto realmente accaduto, la chiusura del magazine ‘Life’ e il passaggio completo all’online. E’ anche la fine di un certo modo di fare giornalismo…

Amo venire in Italia perché capite sempre che anche dietro a una commedia ci sono temi profondi. Uno di questi è la ricerca di un legame con sé stessi e con gli altri. La mia generazione ha vissuto in pieno il passaggio da analogico a digitale. Quando ero piccolo giocavo con lo skateboard, non c’erano i computer, i cellulari, e i videogame erano molto rudimentali, come Pong. Oggi siamo molto distratti, è più difficile avere un’interazione con gli altri che non sia solo virtuale. Walter non è un introverso, ma si è ritirato alla ricerca di sé stesso. Bisogna allontanarsi dallo schema della virtualità per cercare la propria vera collocazione nel mondo. Io stesso ne sono vittima: ho un i-phone, un computer e un televisore. E’ un problema concreto per le giovani generazioni, che rischiano di non sapere mai cosa si prova a sfogliare una rivista cartacea, a leggere un libro vero. Io detesto leggere sui tablet, mi sembra di non avere per le mani il vero libro. Allo stesso modo mi piace girare in pellicola, anche se oggi è sempre più difficile. Ma non potevo certo realizzare in digitale un film su un uomo alla ricerca di un negativo fotografico.

Che consigli darebbe ai giovani Walter Mitty di oggi?

Non so, non ho consigli. Posso solo dire che è importante continuare a sognare, anche a occhi aperti, ricordando però che a volte è proprio l’immaginazione a metterti in connessione con il mondo reale. Restate creativi.

Si sente cambiato rispetto ai tempi di Giovani, carini e disoccupati?

In quel film mi sentivo molto vicino ai personaggi, anche per questioni di età. Oggi sono molto più consapevole del punto della mia vita e della mia carriera in cui mi trovo. Ho una visione diversa.

Tra le varie fantasmagorie proposte dalla mente di Walter, colpisce particolarmente la scena di combattimento…

Per la scena di lotta, fondamentalmente abbiamo cercato un modo di far comprendere la frustrazione e la rabbia che Walter prova nei confronti del suo capo, e che non può esprimere. L’idea del supereroe a New York ci è parsa molto esemplificativa.

Ha visto le riduzioni precedenti del romanzo? Lo sa che ce n’era una italiana con Paolo Villaggio?

No, ma mi piacerebbe buttarci un occhio. L’originale invece era una commedia musicale e dunque non m’interessava rifarlo. Nessuno può rifare oggi una commedia musicale meglio di quanto si facesse allora. Mi ha spinto a realizzare il film uno script diverso, che sottolineasse il tono malinconico del romanzo originale, celebrando la personalità del protagonista.

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13 Dicembre 2013

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