L’assistenza economica che viene data dallo stato attraverso i vari articoli di legge al cinema d’autore implica una diagnosi di malattia. Un autore fa un film perché ha diritto ad esprimersi, e il diritto non può essere assistito, al massimo viene garantito. Dunque, nel momento stesso in cui si decide di dare assistenza a un diritto, come fa l’art. 8, si attesta che questo diritto è malato.
Le assistenze che vengono date al cinema d’autore è come se sottintendessero che questo tipo di cinema non è capace di crearsi un proprio destino, in fondo sono un modo per lasciarlo in eterna paralisi, per eliminare la ricerca, il rinnovamento dei linguaggi. In realtà io ho imparato, proprio fruendo dei finanziamenti dell’art. 28 (Il giardino delle delizie, N.P. il segreto, Nel più alto dei cieli, Quartiere, Uova di garofano, L’uomo proiettile) peraltro sempre restituiti, l’umiliazione dell’essere aiutati a produrre un’opera che poi non arriverà mai nelle sale. Il problema è tutto qui: il cinema d’autore non deve essere finanziato, ma al cinema d’autore deve essere garantito uno spazio di visibilità attraverso la creazione di un suo circuito, un po’ come ce l’hanno l’opera lirica o il teatro classico. Basterebbe che accanto a ogni museo ci fosse una saletta, con una cinquantina di posti a sedere, dove un autore può far vedere il proprio film.
(Dal Sole 24 ore, dicembre ’98)
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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