Per quanto riguarda Tele+, abbiamo da pochissimo ratificato un accordo con la Ministro dello Spettacolo, Giovanna Melandri, con cui confermiamo il nostro impegno al finanziamento al cinema italiano per il biennio 2000 e 2001, aumentando l’impegno economico da 60 a 90 miliardi. Ma questa non è la sola novità: infatti, abbiamo allargato il raggio d’azione del nostro investimento dalla fiction ai documentari. Noi interveniamo con il sistema del pre-acquisto dei diritti pay tv, non siamo ancora partner di produzione. Negli ultimi due anni ci siamo resi conto di come molti film vengano di fatto realizzati anche grazie a noi, soprattutto gli articoli 8, ex art. 28, che però sono finanziati al 90% con denaro pubblico. Noi mettiamo il restante 10%. Tra i non-articolo 8 che abbiamo cofinanziato ci sono poi opere interessanti come Garage Olimpo di Marco Bechis o Sud Side Stori di Roberta Torre, film belli che sono anche progetti anomali per il cinema italiano, sostanzialmente non classificabili, fatti senza i soliti comici. Film che spesso non arriverebbero altrimenti a chiudere il budget, il nostro impegno va in questo senso e dunque si configura anche come un aiuto alla produzione. I film da noi appoggiati sono stati 70 nel biennio scorso, che si è chiuso nel ’99, e saranno 90 nel 2000 e 2001.
Da quando Tele+, poi, è entrata a far parte del Gruppo Canal+ il nostro interesse specifico e rilevante per il cinema italiano è aumentato. Non intendiamo soltanto limitarci a seguire l’esistente, vogliamo intervenire. Noi leggiamo e valutiamo sceneggiature e piani di produzione (io faccio parte della commissione): studiamo la serietà del progetto e le garanzie che ci possono offrire regista, produttore e cast. Le nostre sono scelte libere, affidate a una privata sensibilità. Per esempio, abbiamo finanziato anche delle opere di giovani registi sconosciuti che non rientravano nel discorso dell’art. 8, come Autunno di Nina di Majo.
Detto questo, c’è da aggiungere che anche una volta risolta, film per film, la questione del finanziamento, bisogna affrontare il problema della distribuzione, che esiste ed è una delle tante strozzature di cui è vittima il cinema italiano, non per mancanza di distributori italiani indipendenti e capaci, ma perché davvero il mercato offre spazi ridotti. In questi ultimi anni le spese di lancio e di produzione di un film sono aumentate moltissimo e anche quando vengono investite cifre dignitose spesso lo sforzo non è sufficiente. Siamo al paradosso che per ogni film italiano si deve inventare un “caso” perché alla gente venga la curiosità di andarlo a vedere. Del resto, noi non interveniamo se non scegliendo progetti che abbiano dietro l’impegno di una casa di distribuzione nazionale.
Vogliamo finanziare film che usciranno nelle sale, prima di entrare nel circuito pay. Oggi la vita di un film in Italia dipende in modo molto stretto dalla prevendita televisiva, semplicemente perché le alternative sono pochissime. Il fondo di garanzia può elargire somme anche importanti, certo, ma il nostro mercato conta solo un paio di gruppi di una certa portata, Medusa e Cecchi Gori, ammesso che serva fare i nomi, e dei due uno, cioè Cecchi Gori, è notoriamente in crisi, quindi alla fin fine solo Medusa può garantire la copertura integrale di un film. In uno scenario come questo, per i produttori le televisioni rappresentano l’unica chance. Noi cerchiamo sostanzialmente di non chiedere di più, in termini di diritti, di quando possiamo dare. Secondo me, le televisioni possono aiutare il cinema ma non ne devono condizionare l’estetica. Quando i produttori e i registi, spesso influenzati dalla tv stessa, vengono a offrire un prodotto già televisivo, si corre il rischio essenziale di una censura preventiva. Se un autore ha in mente un progetto che risulta scomodo, vuoi perché rischia il divieto ai minori di anni 18 che fa automaticamente diminuire il valore tv, o perché tocca temi controversi, corre pericolo di veder condizionato il suo lavoro creativo.
Certo, una pay tv come la nostra può godere, e gode, di una libertà di scelta maggiore rispetto alla tv generalista, perché si rivolge a un pubblico di abbonati e dunque già preselezionato, senza doversi scontrare con i problemi di audience propri dei network di Stato e privati. Non è però che voglia criticare con questo strutture come Raicinema, che hanno tutto il diritto di esprimere le proprie linee industriali. A mio giudizio, le pay tv possono contribuire alla creazione di un rapporto più sano e corretto tra cinema e tv, anche se personalmente noi di Tele+ non siamo ancora in grado di finanziare in modo sensibile e maggioritario un film, come invece fanno oggi Rai e Mediaset. Per ora abbiamo limiti percentuali precisi e non possiamo fare di più, ma ci auguriamo che in vista di una crescita futura le cose cambino presto. Il modello che abbiamo in mente e a cui intendiamo fare riferimento è chiaro, ed è quello francese delle coproduzioni.
(Intervento raccolto da Laura Pugno)
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