Curiosità: il primo adattamento cinematografico di cui si abbia traccia del romanzo ‘I tre moschettieri’ di Alexandre Dumas è italiano: si tratta di un cortometraggio di Mario Cesarini, del 1909.
Poi ne sono arrivati a cascata: ricordiamo in particolare quello di Richard Lester del 1973, con Raquel Welch nei panni di Milady e Jean-Pierre Cassel in quello del re, la versione del 1993 di Stephen Herek, produzione Disney, con un grande cast (Charlie Sheen, Kiefer Sutherland, Chris O’Donnell e Tim Curry tra gli altri) e guidato dalle note della canzone ‘All for Love‘ interpretata da Bryan Adams, Sting e Rod Stewart, poi La maschera di ferro (1998), con Leonardo di Caprio e Gérard Depardieu, e ancora la versione steampunk di Paul W. S. Anderson del 2011 e quella fantasiosa e quasi parodistica di Giovanni Veronesi (2018) con Favino, Papaleo e Mastandrea.
Ora ne sta arrivando un altro, direttamente dalla Francia, il che dovrebbe essere garanzia di qualità: si gioca in casa.
Diretto da Martin Bourboulon (Eiffel, Papa ou Maman e Papa ou Maman 2), I tre moschettieri – D’Artagnan è il primo dei due film girati ‘back to back’(I tre moschettieri – Milady arriverà a dicembre) ed è interpretato da Eva Green, Vincent Cassel (che in qualche modo rappresenta una sorta di eredità) e Louis Garrel nei ruoli principali di Milady de Winter, Athos e Re Luigi XIII, rispettivamente.
E’ in sala dal 6 aprile con Notorius Pictures e segue abbastanza fedelmente la trama nota a tutti colorandola di azione, avventura e combattimenti a tratti spettacolari a tratti innovativi e sperimentali.
Il giovane e intraprendente D’Artagnan, interpretato da François Civil, si unirà ai tre Moschettieri del Re, Porthos (Pio Marmaï), Aramis (Romain Duris) e Athos (Cassel), per contrastare le macchinazioni del Cardinale Richelieu e proteggere il futuro della Francia. Ma il pericolo è sempre dietro l’angolo, soprattutto quando D’Artagnan si innamora di Constance, confidente della Regina, e si mette in conflitto con Milady, la sua acerrima nemica.
Dice Bourboulon: “C’è un doppio piacere nell’affrontare qualcosa di tanto amato e familiare – come spettatore e come regista – che si scatena contemporaneamente. Come si fa a fare un film di cappa e spada nel 2023? Si trattava quindi di ricreare un contatto con questi grandi film d’avventura, che narravano di viaggi individuali e di Storia con la S maiuscola. Tutti ricordiamo la trama de ‘I tre moschettieri’, il senso dell’onore e della fratellanza che vi è raccontato, la grandiosità delle battaglie. Quando ripenso a ciò che questo romanzo rappresentava per me quando ero bambino, mi viene in mente qualcosa di grande. Non è un genere che si è rinnovato così frequentemente. Per questo c’era una certa responsabilità nel riprodurlo oggi. Alcuni temi, come il cameratismo e il tradimento, sono assolutamente senza tempo. Ma considero questo film anche come un grande film d’avventura. Volevo che fossimo sempre in contatto con i personaggi, che potessimo vivere le scene d’azione dal loro punto di vista, sempre con la massima immersività. Che lo spettatore fosse guidato più dalle emozioni e dalle reazioni dei personaggi che dall’azione stessa. Si è trattato di una sfida tecnica importante, ma che a mio avviso conferisce molto realismo e verità a queste scene”.
Ma ci sono anche delle trovate stilistiche, ad esempio in due scene, quando la regina è in trappola e quando Athos è tenuto prigioniero, in cui il combattimento è tenuto fuori dallo schermo: “In queste due sequenze – continua il regista – sperimentare la solitudine della regina, la paura o lo sgomento di Athos, mi è sembrato più importante e interessante che filmare l’azione stessa. La posta in gioco è alta a questo punto della storia e può cambiare il destino di questi due personaggi. Rimanere con loro, incollati ai loro punti di vista e in tempo reale, mi è sembrato più “giusto” in termini di messa in scena. Soprattutto perché, bloccati all’interno, non possono vedere ciò che accade 7 all’esterno. Inoltre, trovo sempre molto interessanti i fuori campo nei film. Ciò che non viene mostrato è spesso più forte e misterioso, aggiunge intensità alle scene. Ho voluto lavorare su questo principio della messa in scena per dare un aspetto formale più contemporaneo a questo nuovo adattamento”.
“Nell’immaginario collettivo – commenta invece Eva Green – Milady è malvagia, misteriosa, impavida, diabolica pronta a tutto per raggiungere i suoi scopi. Nel secondo film capiremo perché è diventata questa donna senza scrupoli. Scopriremo il suo tallone d’Achille e, quindi, una nuova Milady, che trovo più umana. È questo viaggio interiore che vediamo in questo adattamento e che mi ha fatto dire di sì a questo progetto. Milady è anche una guerriera. È forte e maneggia le armi come gli uomini. È un’eroina moderna, libera, indipendente, che prende in mano il proprio destino. Mi piace il fatto che sia un’anticonformista e che non si preoccupi delle convenzioni sociali. Le tre figure femminili, Milady, Constance e la regina, svolgono un ruolo centrale nella storia. Questo mi piace molto. Queste donne sono meno sottomesse rispetto al romanzo; tutte e tre hanno una maggiore struttura in questo adattamento”.
“Quando mi è stato offerto il ruolo del re – dichiara Garrel – la mia prima domanda è stata: chi interpreterà la regina? Quando ho scoperto che era Vicky Krieps, sono stato felicissimo, perché ho capito subito che saremmo riusciti a rappresentare una coppia. Poi mi sono concentrato su Luigi XIII. Ho letto la sua biografia scritta da Jean-Christian Petitfils, che è molto empatico con il personaggio e che si schiera contro Alexandre Dumas, contro il carattere presumibilmente docile del re e influenzato da Richelieu. Ho trovato questo libro entusiasmante. Ne ho tratto diversi elementi che mi hanno aiutato a sviluppare il personaggio”.
Chiude proprio Cassel, con un ricordo del lavoro del padre: “Naturalmente quando ero più giovane l’ho accompagnato sul set de I tre moschettieri di Lester, in cui interpretava Luigi XIII. Ricordo un set allucinante, e Michael York, Oliver Reed e altre grandi figure del cinema dell’epoca. La grandiosità del progetto mi aveva segnato, soprattutto perché ero un ragazzino”.
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