LOCARNO. È stata un’accoglienza calorosa quella che il pubblico di Locarno ha riservato a I giganti, unico film italiano in concorso. Il suo autore, Bonifacio Angius, già in gara per il Pardo d’oro nel 2014 con il suo primo lungometraggio, Perfidia, ha ricambiato mettendosi a disposizione degli spettatori in un incontro ricco di domande e di interessanti spunti di riflessione; anche perché il film non è certo di quelli che passano inosservati.
Un gruppo di persone si ritrova per una serata in una casa dove tutto ha il sapore dell’antico e anche i loro movimenti sembrano interni a una cultura secolare: ma si tratta di persone che da tempo sono scivolate sul piano inclinato della droga e che con le sostanze cercano di fuggire da un passato non certo felice che ogni tanto fa capolino nei loro racconti e che ha condizionato le loro scelte. In questa casa, durante una lunga ed interminabile notte si consuma il dramma delle loro vite, delle loro solitudini.
“Il mio modello è stato certamente l’amicizia virile che caratterizza i protagonisti dei film western – spiega Angius – i miei personaggi si conoscono da molto tempo, le loro storie si intrecciano, le loro vicende interagiscono. È vero, tutto è scandito da un uso costante, meticoloso, quasi ragionieristico delle sostanze stupefacenti che assumono in grande quantità: ma dalle loro parole, dai loro sguardi, dai loro atteggiamenti capiamo chi sono, quale passato li lega e perché si trovano in quella situazione. Il racconto di questa autodistruzione – che poi per me rappresenta la storia dell’intera umanità – è certamente figlio del brutto periodo che abbiamo vissuto, ma non solo. Per me il cinema è da sempre una terapia e lo è stato anche questa volta”.
Angius sottolinea anche come stare dietro la macchina da presa per lui voglia dire sempre e comunque mettersi in gioco, cosa che ha fatto anche con questo ultimo lavoro: “Vedo questo film come un uomo che cammina in bilico su una corda. Da una parte c’è il ridicolo, dall’altra il drammatico. Ma era un rischio che dovevo prendermi per evitare di cadere nella mediocrità. Inoltre avevo la necessità di raccontare il dolore confrontandomi con il genere, in particolare con il western e l’horror, pensando ai grandi film di Leone, ma anche a quelli di Polanski”.
Il film si regge sulla recitazione straordinaria di tutti i partecipanti, compreso il regista (che firma anche la sceneggiatura, insieme allo storico collaboratore Stefano Deffenu, la fotografia e il montaggio): “Ho voluto degli attori che sapessero aderire completamente al progetto. I loro ruoli non consentivano tinte sfumate, mezze misure: o diventavano veramente come li avevo pensati oppure rischiavano di non essere credibili. Qualcuno si è stupito perché ho scelto degli attori che sono noti per la loro capacità di far ridere: sembrerà un luogo comune, ma io ho sempre pensato che dietro un grande comico ci sia un attore che aspetta soltanto di poter esplicare le sue attitudini drammatiche”.
Gli attori di cui parla Angius sono Michele e Stefano Manca, più conosciuti come Pino e gli anticorpi, una coppia comica perfettamente credibile anche in queste nuove vesti, scissi in due personaggi che hanno un passato ingombrante e un futuro veramente incerto. Il film riserva anche dei sapienti colpi di scena che riguardano soprattutto l’ultimo personaggio che fa il suo ingresso nella casa, un giovane e timido ragazzo che sembra arrivato casualmente in quel contesto: è riservato, ha l’aria innocente ma saprà al momento buono dimostrare una personalità del tutto inaspettata. A interpretarlo è Riccardo Bombagi, qui al suo film d’esordio, che Angius definisce “una vera rivelazione, un attore di grande serietà e temperamento” e aggiunge: “il ruolo che interpreta è centrale nel film, ma non ho voluto fare un discorso sulle giovani generazioni, non ho voluto contrapporre persone che hanno età e sensibilità diverse. Volevo parlare del dolore e del bisogno del conflitto. Volevo raccontare una storia nella quale i protagonisti rappresentano un mondo chiuso e le altre persone sono qualcosa di diverso, hanno un’alterità rispetto a chi non ha un legame così profondo e al tempo stesso tanto contraddittorio. Io volevo raccontare individui che si credono forti (da qui il titolo del film) ma che alla prova dei fatti si dimostrano tutt’altro”.
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