LOCARNO. Dopo Tir, film sulla vita on the road di un camionista croato, vincitore del Marc’Aurelio d’oro per il Miglior film al Festival di Roma 2013, Alberto Fasulo ha partecipato in selezione fuori concorso di Locarno con il documentario Genitori, prodotto da Nefertiti Film con Rai Cinema e distribuito dall’Istituto Luce Cinecittà.
Anche questa volta il regista propone un viaggio alla scoperta di una solitudine, ma se nell’opera precedente si trattava del racconto dell’esistenza alienata e alienante di un autotrasportatore abbandonato alla sua strada fatta di luoghi e non luoghi tutti uguali, l’isolamento di cui parla il regista friulano in quest’ultimo lavoro – cominciato proprio quando Tir era ancora in lavorazione – è di tutt’altra natura.
Il film entra, senza preamboli dentro l’esperienza quotidiana di chi ha un figlio disabile e combatte tutti i giorni per garantirgli una vita dignitosa . E lo fa in maniera brutale, volutamente senza filtri, “per tentare di innescare una relazione diretta con il pubblico – spiega Fasulo – un processo culturale che possa portare ad una sensibilizzazione rispetto a un argomento così importante, che per qualcuno è ancora un tabù”.
Fasulo scompare dunque dietro la sua macchina da presa, senza mai intervenire, per seguire giorno per giorno le discussioni di un gruppo di genitori (12 madri e 2 padri) della provincia di Pordenone che negli ultimi 16 anni si sono incontrati ogni 15 giorni per parlare della vita dei loro figli, delle loro problematiche, dalle più banali a quelle che invece sottendono evidenti questioni etiche. “Spesso nascevano dibattiti dove era difficile non esprimere la propria opinione. Qualche volta sono riuscito a mantenermi distante, altre volte non ce l’ho fatta”.
Genitori senza sostenere tesi genera domande anche in coloro che non vivono questa esperienza. “Fin che siamo in vita nessuno può chiamarsi fuori dalla possibilità di dover gestire una disabilità, sia essa un’invalidità che riguarda se stessi o invece un parente molto prossimo- sostiene l’autore – Perciò ho cercato di raccontare questa realtà, di cui prima conoscevo molto poco, senza pensare ai disabili come ‘animali’ da mostrare in una teca”.
D’altra parte è stata l’esigenza di sentirsi rappresentati nella maniera corretta che ha spinto i genitori dell’associazione protagonista dell’opera a chiedere a Fasulo di lavorare su questa tematica: “Sono stati loro a contattarmi e a propormi di realizzare Genitori. Sono rimasto molto colpito da ciò che mi hanno detto sul cinema, sull’incapacità e sulla paura del grande schermo di raccontare in maniera non superficiale che cosa significhi essere disabili. Anche perché spesso, nella realtà, il famoso lieto fine non c’è. Ecco, a me interessava dare voce a questo bisogno, a questa verità”.
Cinque anni dentro le storie di questo gruppo sono tanti. Che cosa s’impara e rimane? “Il tempo è fondamentale, e questo vale per ogni mio film, per capire in quale direzione andare e in che modo. Quando ho cominciato a partecipare costantemente alle riunioni ho sentito che in questo gruppo c’era come una magia e ho capito come mai molti genitori di ragazzi che oggi non ci sono più hanno comunque continuato a frequentarlo. Probabilmente anche io sentirò questa esigenza. Qui ho riscoperto l’importanza dell’empatia”.
Quale pubblico andrà a vedere Genitori? “Spero tutti. È un film per i cosiddetti sani e per coloro che invece vivono in qualche modo la disabilità – risponde Fasulo – Soprattutto vorrei che il film, oltre ad aprire un dibattito per sostenere le famiglie che vivono questa problematica, servisse a diffondere gruppi di mutuo aiuto, di qualsiasi genere. L’ascolto e lo scambio con gli altri sono fondamentali nella vita di ognuno di noi”. In attesa dell’uscita in sala di Genitori in autunno, Fasulo annuncia i suoi prossimi progetti: un film storico su un mugnaio eretico del Cinquecento, originario di Montereale Valcellina e un altro sull’apparato di propaganda attivo durante la Prima Guerra Mondiale.
Al festival di Locarno il regista ha portato il film breve Pastorale cilentana che, fino a fine ottobre, introdurrà alla visita del padiglione zero dell’Expo di Milano: "È una opera gemmata su Noi credevamo e Il giovane favoloso, getta uno sguardo sulla storia d’Italia per andare alla radice di quel malessere che oggi viviamo. Racconta un periodo in cui l’uomo e la natura erano ancora in equilibrio, in cui l’uomo restituiva alla natura ciò che prendeva, in cui la tecnica cominciava a evolversi, a perfezionarsi, ma c’era reciprocità e non sfruttamento"
A Locarno 68 il film Right Now, Wrong Then vince anche il premio per la migliore interpretazione maschile. La migliore interpretazione femminile è un ex aequo alle quattro protagoniste di Happy Hour del giapponese Ryusuke Hamaguchi. Al maestro polacco Andrzej Zulawski, con Cosmos, va il riconoscimento per la Miglior regia. Bella e perduta di Pietro Marcello, che sarà distribuito da Luce Cinecittà, ottiene il primo premio della Giuria Giovani e la menzione speciale del Premio ecumenico
Bella e perduta di Pietro Marcello - che sarà distribuito da Istituto Luce Cinecittà dal 19 novembre dopo la pre-anteprima al Festival di Torino - è stato in concorso al sessantottesimo festival di Locarno dove Cinecittà News ha incontrato il regista casertano per parlare di questa fiaba che getta uno sguardo su un'Italia pasoliniana, abitata da cittadini completamente inconsapevoli, un'Italia, appunto, "bella e perduta"
I documentaristi Martina Parenti e Massimo D’Anolfi partecipano al festival di Locarno nella sezione Signs of Life con L’infinita fabbrica del duomo, un film che, utilizzando materiali d’archivio e senza mai ricorrere alla voce fuori campo, racconta le vicende di uno dei monumenti più noti d’Italia. Un progetto che ha obiettivi molto ambiziosi e che si snoderà ancora nei prossimi anni attraverso una serie di film sul tentativo dell’uomo di superare il tempo, ispirati ai cinque elementi aristotelici: acqua, fuoco, terra, aria, etere.