Hou Hsiao Hsien, la grande bellezza del wuxia

Il regista si candida a un premio importante con The Assassin. ambientato nella Cina del VII secolo. Un film di cappa e spada con pochi combattimenti e molte immagini pittoriche


CANNES – Opera di folgorante e sublime bellezza, The Assassin ha portato in concorso a Cannes un momento di altissimo cinema riservato ai cinefili più puri. Per Hou Hsiao Hsien – che si candida a un premio importante – era il ritorno alla regia a quasi dieci anni dall’ultimo lungometraggio, Le voyage du ballon rouge, con Juliette Binoche protagonista. Stavolta il maestro di titoli come Città dolente (Leone d’oro a Venezia) e The Puppet Master (premio della giuria a Cannes) si immerge di nuovo nella tradizione cinese e in particolare nel genere del wuxia che rivisita in una chiave più intimista e meno spettacolare con un film costoso e ricco di contributi artistici importanti, dai costumi alle musiche di Lim Giong. Mentre paesaggi e ambienti interni vengono filmati come una sequenza di dipinti, le scene d’azione sono piuttosto ridotte e la trama, intricata e scarsamente intelligibile al pubblico occidentale, è veicolata da lunghe conversazioni tra i personaggi, che portano ciascuno un segreto e sono implicati sia in trame politiche che in ambigue vicende private. Siamo nel VII secolo e si fronteggiano due poteri, l’impero e la provincia militare di Weibo che si è resa autonoma. La tregua tra i due potenti è fragile e basta un nulla a riaccendere la miccia. In particolare Nie Yinniang (Shu Qi), una guerriera di straordinaria abilità che è stata allevata dalla principessa monaca Jiaxin (Sheu Fang-yi) all’uso della spada e alle arti marziali e che viene rispedita a Weibo appunto per attentare al governatore. Ma la maestra non è riuscita a rendere di pietra il suo cuore e questo la porterà a risparmiare la sua vittima che risulta essere un suo antico amore. 

Molto applaudito dai critici, Hou Hsiao Hsien spiega di essersi ispirato alla letteratura dell’epoca, con accurati studi sia sui dettagli della vita quotidiana, che viene descritta accuratamente in lunghe scene, sia sull’abbigliamento e i comportamenti delle varie classi sociali. Per quanto riguarda i combattimenti, il regista racconta: “Quando io ero ragazzo a Taiwan, negli anni ’50, c’era una piccola biblioteca piena di pubblicazioni sul cappa e spada cinese. Adoravo quei libri e li ho letti tutti. Certo, è anche un film sulle arti marziali, come voi le chiamate in Occidente, ma ho mantenuto un punto di vista realista secondo quello che è il mio temperamento. Qui i guerrieri non corrono per aria, non fanno piroette, ma è tutto fatto nel mio stile, che è quello di restare con i piedi per terra”. 

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21 Maggio 2015

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