Helen Mirren: regina, contadina, ebrea viennese

L'attrice britannica, Oscar per The Queen, è protagonista di Woman in Gold, storia vera della battaglia legale combattuta da un'ebrea austriaca per riavere un quadro di Klimt


Un famoso ritratto di Gustav Klimt, quello di Adele Bloch-Bauer, realizzato nel 1907, in pieno periodo dorato, trafugato dai nazisti, acquisito dallo Stato austriaco che lo considerava un vero tesoro nazionale (al pari della Mona Lisa, altro quadro trafugato sebbene in altra epoca e circostanze). Quindi, dopo una serie di processi, restituito alla legittima proprietaria, unica erede di Adele, e venduto a Ronald Lauder, magnate della cosmetica, per 135 milioni di dollari (per quattro mesi fu il quadro più costoso del mondo), ora esposto alla Neue Galerie di New York. Tutto questo è al centro di Woman in Gold, il film di Simon Curtis (Marilyn) che racconta la storia (vera) di come Adele “tornò” dalla nipote Maria Altmann, fuggita da Vienna negli Stati Uniti nel ’38.

Una difficile e dolorosa battaglia legale contro l’Austria in cui l’ormai anziana ma molto vispa Maria è assistita dal giovane avvocato Randy Schoenberg, nipote del maestro della musica dodecafonica che trovò una nuova patria in America: Randy, dapprima indifferente e interessato solo al valore materiale del quadro, diventa sempre più partecipe, assediato dalle memorie dei suoi antenati morti nel lager. E il film intreccia diversi piani temporali mostrandoci prima la vita felice della ricchissima famiglia Bloch-Bauer nella Vienna dello Jugendstil, quindi l’arrivo dei tedeschi con l’Anschluss e l’esclation di umiliazioni e persecuzioni subìte dagli ebrei austriaci. “Le opere d’arte – spiega il regista Simon Curtis – sono state gli ultimi prigionieri di guerra. Come mi ha spiegato l’avvocato Schoenberg, alla fine della seconda guerra mondiale il costo di vite umane era così alto che nessuno parlava della restituzione delle opere d’arte. Ci è voluta una generazione per arrivare a parlarne e a quel punto i sopravvissuti si avvicinavano alla fine della loro vita e sentivano di dover combattere subito questa battaglia”.

Protagonisti di Woman in Gold – realizzato dagli stessi produttori di Philomena e distribuito in Italia da Eagle Pictures dal 15 ottobre – sono Ryan Reynolds e un’impareggiabile Helen Mirren. L’attrice britannica, che ha da poco compiuto 70 anni, ha già vinto praticamente tutto, dall’Oscar alla Coppa Volpi, ma potrebbe candidarsi a un nuovo premio. “La sua alchimia con Reynolds era eccezionale, e anche il suo grande umorismo”, spiega il regista. Che sintetizza così il senso del film: “Penso che riguardi tutti i migranti, non solo gli ebrei, ma tutti coloro che sono costretti a lasciare il proprio paese. I giovani tendono a dimenticare ma è importante che la gente ricordi le cose terribili che sono accadute nel XX secolo. Non è possibile perseguitare qualcuno per motivi religiosi e purtroppo oggi potrebbe accadere di nuovo”. 

Dame Mirren, come si è avvicinata al personaggio di Maria Altmann?
Sono cresciuta in Europa dopo la seconda guerra mondiale e quella parte di storia mi ha formato attraverso i racconti dei genitori, ero molto curiosa e facevo molte domande, per esempio su come fosse vivere sotto i bombardamenti a Londra. Il film mi ha riportato alla generazione dei miei, anche se loro non hanno fatto direttamente l’esperienza del nazismo e dell’Olocausto, mi hanno però parlato dei tempi bui in cui è successo l’impensabile. Oggi esistono purtroppo situazioni simili, in Ruanda, in Siria, nella ex Jugoslavia. Anche per questo è importante ricordare questi fatti e le conseguenze di certe azioni.

Lei discende da una famiglia aristocratica fuggita dalla Russia dopo la rivoluzione d’ottobre. Queste vicende personali l’hanno ispirata nel girare il film?
La mia bisnonna e le mie prozie sorelle dovettero lasciare la Russia, abbandonando la loro vita, le loro proprietà. Si trovarono a perdere tutto, a vivere in una stanzetta con altre famiglie. Sono sopravvissute con grande coraggio a tutte queste traversie. Ma devo dire che più che pensare a loro, ho cercato di mettermi nella testa di Maria, di sentire in modo viscerale e profondo quello che aveva vissuto e tenerlo sempre presente. Per fare questo ho letto molti libri sull’Olocausto, in particolare La storia del terzo Reich di William Shirer, lo consiglio a tutti. 

Lei sta vivendo una fase molto creativa della sua carriera, in ruoli di donne anziane ma non per questo meno interessanti, e sembra avere un rapporto positivo con lo scorrere del tempo.

In Italia siete messi meglio che altrove da questo punto di vista, ci sono tante donne anziane e bellissime. Devo dire che riguardo all’età ci sono solo due opzioni: o muori giovane o invecchi. E siccome l’idea di morire giovane non mi è mai piaciuta… Mi dispiace per Kurt Cobain che se ne è andato prima di internet e del gps, la cosa più fantastica che io conosca, perché mi piacciono molto le mappe.

C’è un segreto per invecchiare bene? 
Non c’è un segreto, bisogna apprezzare l’innovazione e l’idealismo, anche se con l’età si diventa un po’ più cinici, bisogna incoraggiarlo nei giovani. E guardare sempre al bello.

Un tempo le attrici si lamentavano di non avere ruoli dopo i 40 anni.
Il mondo è cambiato. Più che i ruoli per le attrici è cambiato il ruolo della donna nella società ed è questa la battaglia che dobbiamo fare. Greta Garbo si ritirò a 38 anni, adesso a quell’età le attrici cominciano appena a sbocciare: guardate Nicole Kidman, Jennifer Aniston o Cate Blanchett, sono tutte quarantenni

Maria Altmann riesce ad ottenere giustizia soprattutto grazie al sistema giudiziario americano che permette di riaprire il caso anche in Austria, nonostante la forte opposizione del governo. In Italia probabilmente non sarebbe stato possibile.
La giustizia italiana è molto complessa, a volte bizantina, specie a livello di burocrazia. Ma ci sono anche tanti giudici coraggiosi che hanno combattuto contro la mafia e che rispetto profondamente. Noi stranieri dobbiamo avere molta pazienza, però questa è una delle contraddizioni che rendono gli italiani divertenti e speciali.

Lei è ormai anche un po’ italiana, vive parte dell’anno in una masseria nel Salento insieme a suo marito Taylor Hackford.
La prima volta che ho visto la luna piena che sorgeva dal mare su Marina Serra me ne sono innamorata. Abbiamo 400 piante di melograno e vorremmo produrre il succo, fa molto bene alla salute. La mia vita di contadina salentina è davvero importante per me. 

autore
02 Ottobre 2015

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