TORINO. E’ una storia vera quella che ha ispirato The Idol del regista palestinese Hany Abu-Assad (Festa mobile) interpretata da Mohammed Assaf, il giovane cantante diventato popolare nel 2013. E’ lui, rifugiato palestinese di Gaza che s’arrangia a vivere con le canzoni ai matrimoni e guidando un taxi, a vincere il talent Arab Idol (versione locale di American Idol). E’ un sogno che Mohammed ha inseguito con speranza e tenacia pur vivendo in una terra devastata dalla guerra e da difficili condizioni di vita. In modo rocambolesco il ragazzo riesce infatti a scappare da Gaza e a raggiungere gli studi del Cairo per le audizioni di Arab Idol.
Arriverà in finale, un evento tv seguito da oltre 10 milioni di spettatori dell’intera regione. La sua voce, il suo volto diventano tutt’uno con quelli di un popolo da decenni discriminato e in lotta per uno Stato indipendente. Mohammed diventa così il simbolo di ciò che sembrava impossibile e diventa realtà.
Una vittoria che il regista Hany Abu-Assad – premio Un Certain Regard a Cannes 2013 con Omar – ha assaporato in diretta quella sera nella piazza di Nazareth insieme a migliaia di palestinesi.
La troupe di The Idol era per lo più palestinese come gran parte degli attori, ad eccezione di alcuni interpreti libanesi. Ci sono state grandi difficoltà a girare nella Striscia Gaza perché gli israeliani hanno concesso solo un permesso di tre giornate e le immagini girate si riferiscono alla devastazione dei bombardamenti del 2013. Così le riprese si sono spostate a Jenin e in altre aree dei territori palestinesi, nonché in Giordania.
Il film uscirà a Natale in Medio Oriente, in Italia con Adler a marzo e in aprile negli USA.
The Idol è la traduzione letterale del titolo arabo del film?
No, richiama il titolo del talent Arab Idol che non abbiamo potuto utilizzare per questioni di copyright. Il titolo arabo riprende il titolo della prima canzone di Mohammed Assaf, “Gli uccelli volano”.
Il film non insiste troppo sulla situazione disperata dalla quale i ragazzini vogliono uscirne fuori.
Nella rappresentazione che l’Occidente è solita dare della situazione mediorientale la popolazione è mostrata come vittima più o meno immobile del destino. E’ una visione falsa, perché malgrado questi esseri umani vivano condizioni estreme condividono gli stessi valori di altre parti del mondo.
Quanto la storia che lei racconta è fedele alla cronaca a cui rimanda?
La biografia a cui mi sono ispirato è sia vera che di finzione. Per quanto un film di finzione si basi sulla realtà, c’è sempre un grado di drammatizzazione.
Che cosa pensa di quanto sta accadendo in Medio Oriente e in Europa?
E’ una domanda complicata, proverò a farlo riferendomi al mondo intero. Noi tutti stiamo vivendo un periodo in cui un sistema economico sociale domina l’intero pianeta. La civiltà, nella quale noi viviamo, sta attraversando una crisi molto profonda, ma non è stata trovata un’alternativa a un sistema economico che si basa sul consumismo, che sfrutta risorse e inquina. E’ più facile tentare di arginare realtà come quella dell’Isis, con la convinzione che sia il principale responsabile dei nostri mali, un’organizzazione che, non dimentichiamolo, ha ucciso oltre agli occidentali migliaia e migliaia di arabi musulmani. Ma la minaccia più grave sono la corruzione e l’avidità.
Nel suo film c’è un riferimento, seppur breve, ai fanatismi socio-religiosi che devastano. Si tratta del personaggio che s’oppone al ragazzo che vuole andare in Egitto.
Dopo 60 anni d’occupazione molti palestinesi hanno perso la speranza e l’alternativa diventa purtroppo il ricorso alla religione.
Nel film emerge forte la contraddizione: la gente muore e voi cantate. Lei come risponde?
Parte della nostra società è composta da persone molto arrabbiate, ma è una caratteristica che non appartiene solo a noi. In tutto il mondo ci sono persone che scelgono di mantenere la propria rabbia anziché liberarla, di lasciarla andare. E poi ci sono altri che pensano che un modo di sfogarla sia quello di dedicarsi all’arte. Credo che il dovere di un’artista sia quello di trasformare la bruttezza in bellezza ed è l’arte che può dare la speranza.
Le canzoni del film non sono sottotitolate, di che parla canzone vincitrice del talent?
Ho preferito evitare i sottotitoli perché costringono a non concentrarci su quel che vediamo, volevo che fosse l’immagine dell’esecuzione della canzone ad attirare l’attenzione. In fondo si capisce che quei brani riguardano la storia d’amore, la perdita della sorella, il futuro.
Il film è stato visto dalla popolazione di Gaza?
Sì ci sono state proiezioni affollate e la reazione gli abitanti è stata di grande orgoglio perché si sentono rappresentati per come sono, in particolare quei ragazzi così coraggiosi e vitali.
Dai 26.900 del 2014 si è passa ai 29.700 del 2015, gli incassi da 254.369 € a 264.882, ciò per effetto del maggior numero di ingressi a prezzo ridotto per giovani al di sotto dei 26 anni e delle numerose convenzioni
Il regista danese ha accompagnato al TFF la proiezione di Terrore nello spazio nella versione restaurata: “E’ un modello di cultura pop. Questo film di grande artigianato ha in sé molti approcci stilistici del film di fantascienza e ha superato la prova del tempo. Design, costumi, scenografia risultano efficaci al pari di quelli di titoli come Blade Runner e 2001 Odissea nello spazio. Ma c’è un altro film sottovalutato che andrebbe restaurato Città violenta di Sergio Sollima, con Charles Bronson”. Silenzio assoluto sul nuovo film The Neon Demon e sul progetto tv Les Italiens
A La patota di Santiago Mitre vanno il Premio Speciale della giuria e il Premio per la Miglior attrice a Dolores Fonzi; il Premio per il Miglior attore a Karim Leklou per Coup de chaud, film di Raphaël Jacoulot che conquista anche il Premio del pubblico. Premio per la Miglior sceneggiatura ex-aequo a A Simple Goodbye di Degena Yun e a Sopladora de hojas di Alejandro Iglesias Mendizábal. A Italiana.doc premiati Il solengo di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis e La gente resta di Maria Tilli. Premio Fipresci a Les loups di Sophie Deraspe e Premio Cipputi a Il successore di Mattia Epifani
Conferenza stampa di chiusura veloce e senza polemiche. Paolo Damilano, presidente del Museo nazionale del cinema, si dichiara molto soddisfatto e ricorda che "Valerio Mastandrea, presidente della Giuria, si è stupito quanto il nostro festival sia frequentato e seguito dal pubblico". La direttrice Emanuela Martini incassa il sostegno dei vertici del Museo del Cinema e si dichiara disponibile rispetto al programma cioè “a tagliare al massimo 20, 30 titoli” e anticipa l’idea di replicare il prossimo anno la maratona cinematografica di sabato.
I Premi collaterali
Dustur di Marco Santarelli premiato due volte