Guillaume Canet: “Le Déluge, impotenze e tenerezze di Luigi XVI”

Gianluca Jodice porta in Piazza Grande il film di Apertura di Locarno77, storia degli ultimi giorni di Maria Antonietta e del consorte: protagonisti Mélanie Laurent e il collega francese. Il comparto tecnico-artistico è uno spaccato prezioso del cinema italiano, da Daniele Ciprì a Tonino Zera, da Massimo Cantini Parrini a Aldo Signoretti, con – tra i produttori associati – Paolo Sorrentino


LOCARNO – Gianluca Jodice torna al passato, un tempo che sembra gli si cucia addosso con nonchalance, come se l’autore possedesse qualcosa in sé capace di coglierne l’essenza viva e anche laddove decadenza, malinconia, inquietudine siano necessarie ne afferra il guizzo e ramifica la vivacità nervosa di ciò che potrebbe sembrare “vecchio”, per accendere una luce narrativa mai passatista né sentenziante, e così succede anche ne Le Déluge, suo secondo film e Apertura di Locarno77 – sezione Piazza Grande.

Se con Il cattivo poeta – film d’esordio – Jodice raccontava D’Annunzio e la sua era, con Le Déluge regredisce con l’orologio del tempo alla fine del ‘700, esattamente al 1792, per narrare gli ultimi giorni di Maria Antonietta (Mélanie Laurent) e, naturalmente tessuti insieme, anche l’esistenza di Luigi XVI (Guillaume Canet) e dei loro figli, dietro le sbarre della Tour du Temple, tetra fortezza di Parigi, anticamera del loro processo. I più nobili e luminosi figli di Francia per la prima volta sono fragili e segregati: la magnificenza di Versailles già sbiadisce.

“La primissima cosa è stata la lettura di un libro sul processo a Luigi XVI, dove si raccontava anche l’ultima scena del film; poi, testimonianza racconta di una stanza piena di rivoluzionari in cui, mentre portavano il re al patibolo, l’aria era mesta, e questa cosa mi ha molto colpito: c’era, dunque, la vittoria da raccontare con la melanconia. Il titolo del film è chiaro, perché Luigi XIV fece capire che dopo di lui si sarebbe sgretolato tutto” spiega Jodice della genesi del film con “una struttura in tre attiGli Dei, Gli Uomini, I Morti -, con un’ascendenza teatrale, essendo ambientato in un carcere, e il percorso in tre atti riguarda qualsiasi vita, al di là del racconto storico. Ci tenevamo a fare un film più metafisico che storico. Un racconto sulla fine, sulla caduta. È un film con una rigida unità spaziale, per cui il mondo fuori, il popolo, è escluso, e entra in una singola scena, non inventata, perché davvero una delegazione di cittadini portò a Maria Antonietta – che svenne – la testa della sua amica. È chiaro che raccontando dal punto di vista interno alla famiglia reale si possa essere un po’ portati superficialmente a pensare che il film possa essere vicino al lato monarchico, ma non è così: il film è il racconto di un passaggio traumatico della Storia”.

Guillaume Canet spiega che “la cosa che mi ha molto toccato dalla sceneggiatura è che pensassi di conoscere questo pezzo di Storia e invece ho scoperto la personalità di Luigi XVI nel suo lato appassionato, di serrature e orologi. Nel diario del suo valletto veniva descritto come persona un po’ autistica, un diario commovente, e quella Rivoluzione è potuta accadere per l’incapacità di quell’uomo a governare. Maria Antonietta sembra scoprire suo marito insieme agli spettatori, lei scopre l’uomo dietro la parrucca, e così scopre l’uomo proprio come l’ho scoperto io, per questo è stata interessante anche la trasformazione fisica. Penso che il popolo, che aveva lottato ferocemente per la Rivoluzione, abbia provato improvvisamente grande tristezza rispetto al percorso di quest’uomo e di questa famiglia”.

Per restituire l’umanità al suo personaggio, Mélanie Laurent commenta sia stato “molto importante lavorare sul testo; in molti film s’è fatta vedere la frivolezza di Maria Antonietta, qui invece ci concentriamo sui suoi ultimi abiti: le levano i merletti e le piume, a strati. È un film con una certa suspence anche se si sa come vada a finire, nel contesto assurdo della vita di corte, che li ha manipolati; loro non erano una coppia di potere, qualcosa a cui lei fuggiva un po’ pazzamente, mentre a lui hanno chiesto di governare. Si ha voglia di salvarli fino alla fine: i rivoluzionari sapevamo non fosse tutta colpa loro”.

Dunque, Canet e Laurent restituiscono due figure che solitamente nell’immaginario sono più vicine alla divinità che alla modestia terrena e, invece, qui sono proprio i sentimenti umani a venire a galla. Per Canetcadono le maschere, lui confessa una certa emozione, confessa cose che ha vissuto, come la sua educazione, e parla delle sue impotenze. Il fatto che lei alla fine possa dirgli tutto è altrettanto importante. La scena in cui si scambiano la parte più sentimentale, infine, è stata più carnale che in sceneggiatura, ma mi piace molto il montaggio perché resta basato sulla tenerezza reciproca. Lui gli confessa che l’ha sempre amata, ma non ha saputo farlo”.

E Laurent puntualizza dicendo che “nei nostri personaggi c’è un secondo strato: per la prima volta Maria Antonietta diventa madre e moglie, si permette di piangere sulla spalla del marito. Il peso degli esseri umani arriva immediatamente, rispetto a quello di re e regina”.

E poi, ne Le Déluge c’è la prepotente e incantevole bellezza estetica, e c’è la gola buia di un’incertezza che s’affaccia sull’imminenza della fine, tutti “toni” che Jodice ha scelto di affidare alla grandeur del cinema italiano: Daniele Ciprì per la Fotografia, Tonino Zera per la Scenografia, Massimo Cantini Parrini per i Costumi, Aldo Signoretti per il Trucco.

Le Déluge è una coproduzione italo-francese, il film è co-prodotto da Matteo Rovere, Andrea Paris, Marco Colombo, Paolo Del Brocco, con – tra i produttori associati – Paolo Sorrentino. Per Rovere, il film “nasce da una suggestione di Jodice, diventata un testo con il potere della persuasione: il film è una coproduzione Italia e Francia – distribuito da Bim per il nostro Paese. La produzione è stata complessa per ricostruire la Tour du Temple da zero, perché non esiste più nulla. S’è creato un ecosistema italo-francese per questa storia guardata da noi come un punto di svolta nella Storia d’Europa. Ringrazio la Film Commission del Piemonte e la città di Torino che ci hanno aiutati, permettendo di girare alla Reggia di Venaria, un luogo straordinario che restituisce il senso del tempo”.

 

 

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