Guédiguian: “Ieri internazionalista, oggi armeno”

Il regista marsigliese porta a Cannes, fuori concorso, Une Histoire de Fou, ispirato all'autobiografia di un terrorista anti-turco


CANNES – Torna a parlare del genocidio armeno e della ricerca delle radici nazionali, dopo Le Voyage en Armenie (2006), Robert Guédiguian, fuori concorso quest’anno con il minore Une Histoire de fou. Che fin dal titolo, con il riferimento alla follia come categoria politica, rende esplicita la presa di posizione non violenta. Nel prologo, in bianco e nero, il 61enne cineasta marsigliese, al suo diciannovesimo film, ci mostra l’assassinio del dignitario turco Talat Pasha. Siamo a Berlino nel 1921 e il giovane Soghomon Tehlirian, unico sopravvissuto della sua famiglia, esplode un colpo di pistola alla testa freddando il responsabile di molti massacri. Arrestato e processato – un processo mediatico ante litteram – viene clamorosamente assolto grazie alle testimonianze sugli orrori che erano accaduti all’ombra del monte Ararat, e diventa un eroe per il suo popolo.

Decenni dopo, nella Francia degli anni ’80, Aram, figlio di una coppia di pacifici commercianti di spezie (gli attori di Guédiguian Simon Abkarian e Ariane Ascaride) si unisce alla lotta e fa esplodere l’ambasciatore turco a Parigi per poi fuggire in Libano, dove ha sede il quartier generale delle forze di liberazione di varie bandiere, dall’Irlanda alla Palestina. Ma nell’attentato è coinvolto anche un suo coetaneo del tutto innocente, uno studente francese, Gilles Tessier, che rimane gravemente ferito alle gambe e permanentemente invalido. Attraverso la sua storia e l’improbabile ma solida amicizia che si crea tra questo giovane e la madre dell’attentatore, appunto la Ascaride, il film tenta una riflessione sui limiti del terrorismo mettendo in discussione la dottrina che il fine giustifichi i mezzi.

Nella sceneggiatura scritta con Gilles Taurand, sulla scorta dell’autobiografia “La bomba” di José Antonio Gurriaran, Guédiguian non lascia nulla al non detto, mostrandoci sia gli aspetti politici che quelli squisitamente umani della vicenda: in particolare risulta toccante il rapporto “terapeutico” tra la madre e il giovane, dapprima chiuso nella sua rabbia e che infine decide di incontrare il suo carnefice per comprenderne, anche se non per giustificare, le ragioni. Un po’ più meccanica è la parte sul campo di addestramento in Libano, dove Aram, che vive qui una storia d’amore tormentata, finisce in aperto contrasto con il leader del gruppo, guerrafondaio ad oltranza, subito dopo un attentato alle Turkish Airlines a Roma in cui vengono coinvolte numerose persone del tutto estranee alla politica del governo di Ankara.

Un film molto convenzionale per impianto e regia, ma comunque utile ad aumentare la consapevolezza sull’argomento (di cui si sono occupati già vari cineasti, basti pensare ad Atom Egoyan, ai Taviani de La masseria delle allodole e più recentemente a Fatih Akin con Il padre) proprio nell’anno del centenario delle stragi di massa in cui persero la vita nel modo più atroce un milione e cinquecentomila persone, mentre un intero popolo fu privato dei suoi beni e della sua terra (e ancora oggi il governo turco non accetta di riconoscere le proprie responsabilità).

Significativamente il comunista Guédiguian dedica questo film ai compagni di lotta turchi. “Per lunghi anni – spiega il regista – come internazionalista la questione dell’identità è rimasta secondaria anche se non priva di importanza, ed è solo a partire dagli anni ’90 che è arrivata al centro del dibattito politico. Come armeno, e il mio cognome lo dichiara subito, sento di avere una responsabilità in questo senso”. 

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20 Maggio 2015

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