C’è una paternità che è una garanzia: Sanrio. Il “papà” di Hello Kitty ha visto nascere la sua ultima creatura, Gudetama, tuorlo d’uovo mesto e apatico, che nonostante questo suo spirito è una star, dei social e non solo.
Gudetama non è esattamente un neonato, perché la messa in onda della serie giapponese (sull’emittente Tokyo Broadcasting System) data 2014, ma il battesimo mediatico globale è stato martedì 13 dicembre, data da cui il personaggio è approdato su Netflix con Gudetama: un uovo in viaggio: 10 episodi da 10’-15’ ciascuno.
L’ovetto – il cui nome è la crasi tra due vocali nipponici che possono essere tradotti come “uovo pigro”, a specchio del profilo del personaggio – è un simbolo della cultura Kimo-Kawaii (letteralmente: inquietante-carino o disgustoso-carino): nonostante, infatti, l’aspetto tenero, Gudetama non nasconde la propria depressione, lamentando una vita difficile. “Una serie empatica e dal ritmo dolce, un viaggio on the road in cerca dei genitori e adatto a chiunque voglia prendersela con calma!”, così si legge nella sinossi.
Gudetama s’è arresto all’ineluttabile destino di finire sul piatto di qualcuno che lo ingurgiterà, così vuole solo poltrire, ma… il volano della sua esistenza è il vitale e assillante pulcino Shakipiyo: insieme, questi due personaggi, perfetti poli opposti, affrontano un’avventura per trovare la loro mamma. Durante il loro errare incontrano altre uova e imparano le differenti modalità di cottura: così, strada facendo, Gudetama inizia a pensare al suo percorso personale e prende coscienza di dover fare qualcosa prima di… finire male! Nella sua staticità e apatia, Gudetama riuscirà a trovare la sua mammina? Questo è il grande quesito della serie.
Il ricorso a caratteri dall’estetica giocosa non deve però trarre in inganno, infatti la serie è molto più che un intrattenimento per piccoli, a dispetto dell’aspetto delizioso dei due personaggi: anzi, mette in scena sfumature importanti dell’indole umana, capaci di innescare empatia o antipatia nello spettatore, a seconda dall’identificazione che si può stabilire con l’uno piuttosto che con l’altro.
Gudetama ha un destino, che quasi certamente è la fine in padella, drammatica a ben vedere: è consapevole di poter finire la sua esistenza “bruciato vivo” o – forse peggio, ma chissà – lasciato putrefare nel marcio che un uovo stesso può generare. La compassione, nell’essenza del suo spirito primo, quella data dal latino “cum patior” (“soffrire insieme”), è il sentimento che Gudetama più istintivamente porta a far provare nella platea, ma non una compassione pietosa, perché naturalmente la zuccherosità è insita nell’ovetto, così come la sua fluidità gelatinosa, che lo rende un po’ splatter e un po’ tenero in quanto inerme.
In questa storia d’entertaiment certamente c’è tutta la profondità di una cultura, quella giapponese, spesso capace di mescolare una visione estetica al limite dell’infantile con questioni emotive particolarmente più complesse, in cui l’animo umano è il nucleo assoluto: però, Gudetama, può sollevarsi il morale per la sua celebrità. Se, infatti, fino adesso conta migliaia di seguaci “solo” nell’oceanico pubblico del Sol Levante, la sbarco sulla piattaforma certamente si farà megafono di un’eco planetaria: la Gudetama-mania è pronta a non avere confini geografici e virtuali.
Un decennio di vita quasi, quello della serie con protagonista il tuorlo, che sembra non conoscere crisi – nonostante quelle personali dell’ovetto pigro –, infatti il personaggio è soggetto di un merchandising trasversale alle categorie merceologiche, tanto da essere un vero e proprio brand.
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