1968. Mentre tutto il mondo occidentale viveva una grande stagione di rivoluzione sessuale e dei costumi, nella Germania dell’ovest l’omosessualità era ancora criminalizzata. Gli atti “di sodomia” venivano puniti severamente e ogni singolo rapporto – qualunque fosse la sua natura – tra persone dello stesso sesso era un reato in sé, perseguibile con mesi di reclusione. Gli omosessuali venivano spiati e incriminati regolarmente, venendo costretti de facto in un perenne stato di criminalità. È questa la condizione in cui troviamo Hans, il protagonista di Great Freedom, uno dei più acclamati film della scorsa stagione cinematografica. Vincitore del premio della giuria della sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2021 e poi ancora candidato dell’Austria come rappresentante per il miglior film internazionale agli Oscar 2022, il film diretto da Sebastian Meise – inedito in Italia – sarà disponibile dal 27 gennaio sulla piattaforma MUBI.
Nei panni del protagonista troviamo Franz Rogowski, che tutti probabilmente ricordiamo per il ruolo del perfido antagonista in Freaks Out di Gabriele Mainetti, film presentato qualche mese dopo alla Mostra di Venezia. Sulle sue spalle, o meglio sul suo intero corpo, grava la responsabilità di un film estremamente focalizzato su pochi personaggi, costretti a interagire nella spoglia e ripetitiva quotidianità di una prigione. Great Freedom è, infatti, un vero e proprio prison drama, che ripercorre quasi vent’anni della vita di Hans come “criminale sessuale”, dal suo primo arresto – avvenuto come naturale conseguenza del fatto di essere stato recluso per lo stesso motivo nei campi di sterminio nazisti – fino all’ultimo, pochi mesi prima dalla definitiva decriminalizzazione del suo “status”.
La struttura narrativa viaggia avanti e indietro nel tempo, permettendoci di assaporare l’evoluzione del personaggio, in un confronto continuo tra il giovane Hans – ingenuo, sperduto, incredulo – e la sua versione più matura, ormai esperta delle più infime dinamiche del mondo carcerario. Al suo fianco, in questo percorso, troviamo il personaggio di Viktor (interpretato da Georg Friedrich), un criminale “vero”, arrestato per omicidio e divenuto uno dei detenuti più influenti di tutto il carcere, grazie anche al fatto di essere un abile spacciatore. Viktor sarà l’unica costante delle varie incarcerazioni di Hans, risultando dapprima un antagonista, per evolversi poi in una persona fidata, anzi un compagno con cui condividere i dolori e le ansie della prigionia.
La crescita di Viktor è forse ancora più toccante di quella del protagonista, in quanto ben più drastica: da un primo momento di scontro in cui l’omosessualità di Hans è vista come una minaccia, si arriverà a un incontro tra anime e corpi, in cui il contatto umano che si nasconde in un abbraccio sarà l’unica arma per sopravvivere alla solitudine di un mondo che li ha privati della libertà.
Great Freedom sfrutta al meglio il pattern dell’ambientazione carceraria per scavare in profondità nei bisogni e nelle pulsioni dell’essere umano: nel contesto estremo della prigione l’autore riesce a raggiungere l’essenza dei suoi personaggi, sfruttando al meglio le interpretazioni dei suoi grandi attori (non a caso Rogowski ha vinto il premio come miglior attore al Torino Film Festival ed è stato candidato agli European Film Awards). Qual è la più grande libertà, alla fine, se non quella di essere se stessi? Riuscire così, in qualche modo, ad accendere una piccola scintilla di felicità anche nel luogo più buio e freddo che esiste.
Adattamento del romanzo Think of a Number di Anders Boldelsen, il film è uno dei migliori thriller natalizi, con tanto di criminale travestito da Babbo Natale
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