Ci sono diversi elementi da sottolineare su Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile, in uscita con Eagle Pictures mercoledì 20 settembre, perché ci fanno riflettere su come si sta sviluppando negli ultimi anni un certo tipo di cinema, specificamente legato a un marchio.
Come Barbie, il supersuccesso dell’estate appena trascorsa, è un film tratto da un gioco… e non è cosa da poco. Perché i giochi non hanno una trama specifica, dato che è il giocatore a doverla decidere e proprio per questo guardare un film tratto da un gioco, se non si applicano i giusti filtri, può risultare noioso come guardare qualcun altro che ci sta giocando senza poter intervenire.
Ma non solo: è tratto da un videogioco, o quantomeno, appunto, ne porta il marchio, e la storia dei film tratti da videogiochi è piena di insuccessi, sempre per i motivi di cui sopra, acuiti dal fatto che cinema e videogiochi condividono – ormai -parte degli strumenti linguistici (inquadrature, fotografia, recitazione, colonna sonora… non siamo più ai tempi dei puntini su schermo attorno a cui bisognava immaginare il resto) e dunque più che mai è difficile renderli interessanti se c’è tutto tranne l’interattività.
E quindi? Quindi bisogna essere molto bravi e molto furbi, come del resto sono stati i creatori della versione cinematografica di Super Mario Bros., che non a caso è andato molto bene, ma anche – va detto – quelli di Dungeons & Dragons, che è andato molto meno bene ma rappresenta un pezzo di raffinata teoria dell’interattività che meriterebbe di essere rivalutato nel tempo.
Qui si gioca (e non diciamo “gioca” a caso, perché proprio in questo sta il segreto: riuscire a giocare con le aspettative e le esigenze degli spettatori in modo da farli sentire coinvolti come se avessero il pad in mano) in maniera ancora più furba, e se il film lo si guarda con attenzione si imparano anche molte cose: ad esempio, che al brand di Gran Turismo, storica serie di videogiochi di guida – e dunque, sostanzialmente, senza una trama portante – è legata anche un’accademia che seleziona i maggiori talenti in ambito videoludico per trasformarli in veri piloti di auto da corsa. Tale è il caso di Jann Mardenborough – a cui la pellicola si ispira. Qui è interpretato da Archie Madekwe – grazie alla sua abilità di gioco vince una serie di competizioni della Nissan per diventare un pilota professionista.
La “storia”, in sostanza, viene dalla realtà. E così il film che porta il marchio Playstation diventa un kolossal diretto da Neill Blomkamp (District 9) con David Harbour e Orlando Bloom che, se confrontato a un Rush di Ron Howard (il suo più diretto termine di paragone) perde in potenza emotiva, guadagna certamente terreno in termini di spettacolarità e adrenalina, soprattutto, ça va sans dire, nelle scene di corsa.
“Gran Turismo è il film che esaudisce ogni desiderio – afferma Blomkamp – puoi avere il miglior tempo di reazione, tutte le abilità, ma quando sei a ruota a ruota a 200 miglia all’ora, è lì che hai l’opportunità di dimostrare di essere vero. Ed è proprio quello che è successo a Jann Mardenborough. Quando ho letto la sceneggiatura non riuscivo a credere che fosse tratta da una storia vera. Ed è tutto andato in maniera abbastanza simile a come lo vedete nel film. Jann stava giocando a Gran Turismo nella casa dei suoi genitori quando improvvisamente, dopo anni, vede l’opzione per la GT Academy. Solo allora ha imparato come guidare vere auto – come prendere una curva al massimo e uscire da un angolo – tutto ciò che aveva fatto intuitivamente nel gioco, ma che non gli era mai stato insegnato.”
Nelle mani di Blomkamp, la pellicola e mette il pubblico al volante e permette loro di immaginare cosa significherebbe sedersi per la prima volta su un razzo che sfreccia a 200 miglia all’ora. “Sapevo che Neill avrebbe dato al film una sensazione viscerale e palpitante – commenta Harbour, che si unisce al cast nel ruolo di Jack, un pilota fallito diventato capo ingegnere di Jann e che gli insegna tutti i segreti di una vera auto da corsa – quello che non sapevo davvero è quanto avremmo lavorato con auto reali, veri piloti, vere piste. Siamo dentro le auto, facciamo cambi gomme e rifornimenti in tempo reale, mentre gli altri piloti sfrecciano a 200 miglia all’ora sulla pista. È davvero me in un elicottero che vola a 30 piedi sopra le auto da corsa. Tutto ciò contribuisce all’intensità dell’esperienza, che è fondamentale per fare un film su persone che vivono un’esperienza molto intensa, mettendo a rischio tutto per ciò che amano.”
“Si sente intrappolato – aggiunge Madekwe sul suo personaggio – è in una routine nella sua piccola città dove la stessa cosa accade ogni giorno. Ma ha una passione ardente e il desiderio di ottenere di più di quanto le sue circostanze gli permettano. È ossessionato dalle auto e ama Gran Turismo – l’unica cosa che abbia mai desiderato fare è essere un pilota, ma è un mondo che non è mai stato accessibile per lui… fino a quando gli viene presentata un’opportunità, un esperimento, per addestrare i giocatori a diventare veri piloti da corsa.”
Dall’altra parte rispetto a Madekwe e Harbour c’è Orlando Bloom nel ruolo di Danny Moore, l’idealista dirigente del marketing di Nissan che ha l’idea brillante di mettere i giocatori di console dentro macchine che viaggiano a velocità da brivido. ‘È tutto cuore, tutta passione,’ dice Bloom. ‘È guidato da questo sogno folle di prendere piloti virtuali e farli salire su vere auto, correndo sulle piste”.
Non resta che allacciare le cinture, mettere in moto e godersi la corsa.
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