BERLINO – Il discorso più politico, a sorpresa, è toccato alla produttrice del film che ha vinto l’Orso d’oro di questa 63° edizione, Ada Solomon, una delle teste pensanti del cinema romeno contemporaneo, che continua a mietere premi di festival in festival. Quello andato a Child’s Pose di Calin Peter Netzer è solo l’ultimo in ordine di tempo. “Questi successi – ha detto Ada sul palco del Berlinale Palast, per niente emozionata e lucidissima – potrebbero cessare se i politici non comprendono quanto è importante continuare a sostenere il cinema, in Romania come altrove. Purtroppo hanno appena fatto un passo indietro con i finanziamenti. C’è una censura più subdola di quella politica, la censura del mercato, che impedisce al cinema d’autore di continuare ad esistere. E meno male che ci sono festival come quello di Berlino che ci sostengono in tutti i modi”.
Ada, che è stata in passato la coproduttrice di un bel film italiano, Mar nero, ha anche ricordato la straordinaria presenza femminile in questo festival. Nella giuria c’erano più donne che uomini. Tra i personaggi che sono sfilati sullo schermo in questi undici giorni abbiamo incontrato moltissime figure femminili indimenticabili. E tante donne erano anche dietro le quinte, a reggere i cordoni della borsa, tra le produttrici appunto. In Child’s pose, c’è Cornelia, una signora dell’upper class di Bucarest, un’architetta colta e smaliziata, che muove mari e monti compresa la corruzione, per salvare il figlio che ha investito e ucciso un ragazzino e che rischia la galera. In Gloria, che aspirava anch’esso all’Orso d’oro, un’ultracinquantenne che non si arrende al declino fisico inevitabile, continua a cercare di godersi la vita, di essere amata. E se l’interprete del romeno è una star nazionale come Luminita Gheorghiu, all’attrice di Gloria, la bravissima Paulina Garcia, è andato il premio per l’interpretazione in un film molto amato dagli spettatori del festival – che sono stati tantissimi con 300mila biglietti venduti e un tutto esaurito quasi a ogni proiezione – e che in Italia vedremo con la Lucky Red.
Era naturalmente atteso un premio per Parde – Closed Curtain ed è puntualmente arrivato un riconoscimento alla sceneggiatura. A ritirarlo, non potendo esserci Jafar Panahi, per i noti motivi e nonostante la richiesta ufficiale del governo tedesco a Teheran, è salito sul palco il co-autore Kamboziya Partovi che ha citato Fritz Lang e Bunuel a difesa della libertà artistica: “Non è possibile fermare il talento dei grandi artisti e bisogna metterli in condizione di lavorare al servizio della pace e dell’umanità”. E’ stato il massimo che il cineasta iraniano abbia potuto dire. Ma a buon intenditor poche parole: accanto a lui c’era la giurata Shirin Neshat, che sicuramente non ha fatto mancare il suo sostegno a questo coraggioso progetto, girato in semiclandestinità e rischiando l’anatema del regime di Teheran.
Abbastanza prevedibile anche la presenza nel palmarès di An episode in the life of an iron picker, un film che è piaciuto molto. Ma si è rivelato doppio con il premio all’attore Nazif Mujic, uno sfasciacarrozze che vive proprio come il suo personaggio e che non aveva mai messo piede a un festival di cinema prima d’ora, e un premio a Danis Tanovic, già Oscar per No man’s land, tornato ad alti livelli e incoronato con un Jury Grand Prix: “A volte dalla rabbia nascono cose buone – ha detto – ma la prossima volta spero di tornare con un progetto più gioioso”. Il film, tra l’altro, è coprodotto da Rai Cinema, che ha accompagnato sin dai primi passi il lavoro di Tanovic, da No man’s land in avanti, seguendo la sua evoluzione di regista e di autore, come ricorda Paolo Del Brocco. “Due riconoscimenti molto meritati per un film che va dritto al cuore e che racconta con estrema verità, come solo gli autori di talento sanno fare, le storie minime vissute ai margini della nostra contemporaneità”.
Non condiviso da tutti l’Orso d’argento per la regia a David Gordon Green per Prince Avalanche, remake di un film islandese che ha vinto a Torino due anni fa (Either Way).
Alfred Bauer Prize per il cinema che apre nuove prospettive al canadese Vic + Flo ont vu un ours di Denis Coté, già comprato dalla Bolero. Mai titolo fu più profetico: l’Orso l’hanno visto davvero da vicino. Forse un po’ deludente il premio al direttore della fotografia di Harmony Lessons, opera prima kazaka che si aspettava qualcosa di più anche per l’eccezionalità di questa cinematografia.
Da segnalare la menzione per due film “che non abbiamo premiato ma di cui vogliamo riconoscere l’integrità della visione: Layla Fourie e Promised Land“.
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