Gli X-Men ricominciano da Cuba


I mutanti, almeno al cinema – perché i fumetti sono un’altra storia – non portano maschere. Anzi, uno dei temi principali di X-Men – l’inizio, il nuovo film sui supereroi Marvel firmato da Matthew Vaughn in uscita nelle sale con la Fox, ruota proprio attorno al dilemma: nascondersi di fronte a un’umanità becera che teme la diversità al punto di scatenarle contro una guerra all’ultimo sangue, oppure mostrarsi al mondo senza vergogna, con orgoglio delle proprie particolarità, delle capacità che rendono unici e speciali i mutanti stessi prima, e ciascuno di noi in seconda istanza?
Alla fine, la risposta è “mutanti e fieri”, perché la diversità – e dopo ben quattro pellicole l’abbiamo imparato benissimo – deve rappresentare un arricchimento e non una minaccia.

A portare maschere, camuffandosi, è semmai il film stesso. Vaughn con i super-eroi ci sa fare, ne aveva già dato prova con Kick-Ass, atipica parabola, tratta sempre da un fumetto di culto, su un normalissimo giovanotto appassionato di comics che un giorno si mette in testa di fare il giustiziere.

Anche in questa occasione, il regista rinuncia ai facili cliché: già, perché dietro la classica e ben costruita “storia delle origini”, che si svolge negli anni ’60 ed è certo ricca di costumi, superpoteri e scontri spettacolari come si addice a ogni buona pellicola del filone, si nasconde in realtà un sentito omaggio a un altro genere dichiaratamente amato dal regista inglese: il cinema di spionaggio e in particolare i film di 007.

 

I “bondiani” di ferro riconosceranno immediatamente il riferimento nei costumi, nelle acconciature, nella realizzazione dei titoli di testa e di coda, nei cliffhanger che tengono col fiato sospeso e, ovviamente, anche nell’ambientazione, in piena crisi cubana con gli X-Men intenti a salvare il mondo dal rischio di una battaglia nucleare che potrebbe cancellare dalla Terra in un sol colpo umani e mutanti. “E’ stato un modo brillante di collegare i personaggi alla storia più recente”, dichiara il regista.

 

A livello di scrittura, però, di spionistico c’è poco. La trama si concentra piuttosto sul rapporto tra Charles Xavier (James McAvoy), brillante neo-professore dotato di poteri telepatici che sarà il capo della supersquadra, inizialmente al soldo della C.I.A. e poi gruppo a sé stante, ed Erik Magnus (Michael Fassbender), suo amico capace di piegare il metallo con il pensiero, destinato a diventare il suo arcirivale con il nome di battaglia di Magneto. Ma questo succede solo alla fine del film. Per tutta la pellicola il ‘villain’ è invece Sebastian Shaw (Kevin Bacon), ex criminale nazista che può assorbire energia e usarla contro i suoi avversari.

 

Attorno a loro, un nutrito gruppo di giovani supereroi con nomi e poteri pittoreschi: Mystica (Jennifer Lawrence), che può cambiare aspetto a piacimento, Havok (Lucas Till) che può lanciare devastanti dischi di plasma, Azazel (Jason Flemyng), dall’aspetto diabolico, che può teleportarsi scomparendo in una nuvola di zolfo, Darwin (Edi Gathegi) che evolve a velocità super per sopravvivere all’ambiente che lo circonda, Angel (Zoe Kravitz) che ha ali da libellula e sputa palle di fuoco dalla bocca, Bestia (Nicholas Hoult) agile come una scimmia e ricoperto di peli blu, Banshee (Caleb Landry Jones), che ha un urlo micidiale, la letale e bellissima Emma Frost (January Jones), altra telepate dalla pelle adamantina.

Un travestimento il film lo porta anche sul piano “commerciale”. Sembra un prequel, ma non lo è. Forse una cautela per non “traumatizzare” troppo i fan di vecchia data con un reboot dichiarato. Molti sono i riferimenti alle precedenti pellicole sui mutanti, soprattutto alle prime due, dirette da Bryan Singer che non a caso qui è produttore. Due cameo, in particolare, scateneranno l’applauso degli appassionati.

 

Ma, simpatiche citazioni a parte, a ben vedere ci sono tantissimi elementi che sono in contraddizione evidente con quanto visto nei capitoli passati. Di più non possiamo dire, perché molti di questi riguardano snodi importanti della trama. Ma il consiglio è quello di non pensare troppo alla continuity e godersi il X-Men-l’inizio per ciò che è: un film di genere con intriganti spunti di riflessione su integrazione, diritti civili e pacifismo. “La magia di queste opere è che si possono raccontare storie sulla condizione umana da un punto di vista spettacolare e meraviglioso”, osserva lo stesso Singer, che ha proposto lo spunto per la sceneggiatura.

Il pubblico Usa ne ha decretato il successo al box office facendogli guadagnare 56 milioni di dollari in 72 ore. Quasi scontato, dunque, un seguito. E a quel punto anche gli appassionati cominceranno ad abituarsi all’idea che gli X-Men non hanno più gli ormai rassicuranti volti di Patrick Stewart, Ian McKellen o Hugh Jackman, ma quelli di un nuovo gruppo di giovani, promettenti attori. X-Men inizia, appunto. E dato il successo, ora può davvero togliersi la maschera.

autore
08 Giugno 2011

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