Gli attori-studenti di Giuseppe Piccioni

Esercizi Elementari è un insolito mediometraggio in cui il regista documenta un anno di lezioni e di lavoro sugli allievi della più celebre accademia d’arte drammatica del nostro paese


Esercizi Elementari di Giuseppe Piccioni è un insolito mediometraggio (circa 48’) in cui il regista, documentando un anno di lezioni e di lavoro sugli allievi della più celebre accademia d’arte drammatica del nostro paese, la Silvio D’Amico, racconta non soltanto di tecnica e apprendimento ma anche del rapporto del tutto speciale che si viene a creare nel “triangolo” tra autore, attore e personaggi. Quanto conta la componente dell’affettività nel guidare l’interprete verso il suo ruolo? Fino a che punto si possono mettere le mani nei sentimenti di qualcuno (anche su un set e su un palcoscenico)? E soprattutto: che cosa vuol dire, davvero, ‘dirigere un attore’ e ‘recitare’?

“E’ un piccolo film – dice il regista, intervenuto a presentarlo e commentarlo prima e dopo la proiezione – come se fosse un film da matrimonio. Io personalmente non volevo dare indicazioni su cosa bisogna fare per recitare. Si può dire che subdolamente nel film mi sia inserito come attore anch’io, solo che appaio isterico, ridicolo e pure più grasso. Insomma sono parecchio antipatico, chissà se gli studenti ce l’hanno con me. Però è giusto, si tratta di rendere gli affanni e le difficoltà tipiche di un set. Qualcuno diceva che un film non finisce mai veramente, viene interrotto. Perché non c’è tempo e a un certo punto la scena va chiusa e si è costretti a concluderlo. Anche i ragazzi con cui ho lavorato spesso si rivedono sullo schermo e ridono. Si dice che gli attori siano timidi e si vergognino un po’ di loro, ma non è detto che sia un male. La vergogna è utile, infatti ‘svergognato’ è un termine negativo”.

La sezione WIRED Next Cinema del Festival di Roma, che ospita il documentario, si è occupata nel corso del Festival di dar voce a realtà particolari, a nuovi linguaggi, come quello dei The Pills e di Maccio Capatonda, ospitando anche Youtubers celebri e artisti un po’ improvvisati che usano molto l’ironia e le nuove tecnologie ma non hanno certo un’impostazione accademica. Ecco cosa ne pensa Piccioni: “Le strade per diventare attore sono tante e non mi sento io di dire una parola definitiva, anche se alcune soluzioni mi paiono proprio troppo casuali. Diciamo che non suggerirei quel genere di percorso come modello di riferimento. Le scuole sono utili, per tanti motivi. Per esempio io frequentandone una ho tranquillizzato mia madre che così non era in imbarazzo quando i vicini di casa le chiedevano ‘cosa studia tuo figlio?’. E comunque, al di là dei programmi, lì si trovano occasioni di incontro e di confronto, coi professori e gli altri compagni. La rivoluzione digitale apporta sicuramente possibilità espressive. Il cinema diventa alla portata di tutti o comunque ci si abitua già a un certo linguaggio, anche con i selfie o con i filmati da cellulare. Voglio dire, ci sono spunti interessanti anche dal punto di vista educativo. Per la mia generazione era diverso, il cinema era settoriale e gerarchico. Chi scriveva scriveva, chi riprendeva, riprendeva. Con quelle macchine da presa così pesanti non era facile ricoprire più ruoli. Oggi tutto è più sfumato, anche la distanza tra prove e ripresa. C’è possibilità di intervento, si può cancellare, correggere, il che influisce sulla resa estetica finale limando l’aspetto di compostezza calligrafica tipica del cinema della mia epoca. Da un certo punto di vista è liberatorio. Io faccio parte di questo mondo, forse in maniera disorientata e con poche chiarezze, del resto non sono un ‘nativo’ digitale. Noi ci formavamo coi romanzi, mi scrivevo i dialoghi dei film da portare poi a casa. Ci tengo tanto alla sceneggiatura. Invece so che alcuni serial tv li scrivono anche ‘in corsa’, la stagione successiva mentre è in corso quella precedente. Il che porta anche a soluzioni inattese e a un grado di possibilità più elevato”.

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22 Ottobre 2014

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