“Il momento storico, gli Anni ’90, sono quelli della mia adolescenza. Quando sei adolescente, tu stai costruendo una tua controcultura, in cui, mentre guardi gli adulti, il sentimento è sempre di distanza, distacco e pregiudizio: ancora oggi, da Seneca in poi, i meccanismi dell’adolescenza sono i medesimi, quindi portare questa cosa in un periodo storico che non li aggredisce da un punto di vista della rappresentazione culturale permette di far concentrare sul concetto. Nel contempo, c’era anche il fatto che il ’94 rappresentasse una nuova adolescenza della Nazione (italiana), piena di possibilità e di incognite, come è l’adolescenza umana”, spiega il regista de Gli anni belli, Lorenzo D’amico De Carvalho.
Estate, 1994. Elena (Romana Maggiora Vergano) ha 17 anni e uno spirito rivoluzionario. I genitori – Ninni Bruschetta, severo insegnante di greco, e la madre, Maria Grazia Cucinotta, paziente mediatrice – hanno per lei altre prospettive nella loro quotidiana routine, come recarsi sempre nello stesso identico campeggio da vent’anni. Però li aspetta una novità: nuovo direttore e cambio di nome. Così, Elena approda con loro al “Bella Italia”, rassegnata, ma una sorpresa l’aspetta: l’arrivo di un gruppo di ventenni e in particolare di André, quasi più bello di Kurt Cobain, leader della sua band del cuore. L’attende l’estate più esaltante di sempre, tra rivoluzioni, lacrime adolescenziali, gelati, falò, rivelazioni. Per Elena, questa è la stagione indimenticabile della vita, quella degli anni belli, quella in cui lei ha capito davvero cosa serva per fare la rivoluzione.
“Avevo scritto questo soggetto moltissimi anni fa, poi avevo deciso di non portarlo avanti perché mi sono ritrovata a fare film differenti dalla commedia, inoltre la commedia – come regista – mi diverte meno: parlando dell’esordio da regista di Lorenzo, ho notato il suo modo di gestire gli attori, mutuato dal teatro, e proprio della Commedia italiana, oltre alla misura per l’opera prima, così gli ho fatto leggere Gli anni belli”, racconta Anne-Riitta Ciccone, co-sceneggiatrice e moglie del regista.
“La storia poteva essere molto italiana, e utile è stato il workshop dell’MFI, affinché potessimo capire come arrivare a un pubblico internazionale. Il soggetto iniziale era incentrato su un coming of age, l’essere riconosciuta per Elena dal mondo adulto, poi da parte mia ho portato l’elemento politico, che ha molto caratterizzato la mia vita, in quella fase d’età soprattutto”, continua D’amico De Carvalho.
“Io sono uscita dal provino convinta che non avrei interpretato il film. Era l’ennesimo provino in cui avrei dovuto interpretare un’adolescente: anche se avevo 20 anni, fisicamente mi sono sempre reputata più grande. Elena però m’apparteneva molto, sentivo naturale la sua polemica, l’istinto quasi animale. Il caso ha voluto che Elena nella storia si fingesse più grande, e questo ha giocato a mio favore, per cui doveva essere credibile”, dichiara Romana Maggiora Vergano (già nei cast delle serie Immaturi e Christian).
“Io mi sono molto emozionata alla lettura della sceneggiatura, da madre di un’adolescente sto vivendo molte delle stesse cose. L’adolescenza è una voglia di crescere, di scoprire il mondo, molto reale; inoltre, c’è la paura del tempo che passa. Il film parla anche del ritrovarsi quando i figli crescono. Questo ruolo, questo film, racconta tante verità, passate ma anche presenti: ci lasciamo vivere e spesso non abbiamo il coraggio di cambiare o comunque di rompere il ghiaccio e osare, cosa che lei invece riesce a fare: lei si ridicolizza agli occhi del marito, ma non è così, ha solo cercato di riprendersi il suo essere donna e la sua intimità”, dice Maria Grazia Cucinotta del suo personaggio, accanto a Ninni Bruschetta, padre di Elena e severo insegnante di greco.
Il film, inoltre, ha come centro fisico, come cuore del racconto, un campeggio, spazio tutt’altro che secondario: “Il camping è un patchwork tra Lazio e Sicilia, ma gran parte è Calabria. È stata una cosa magica, era un camping difficile da trovare perché presenta ancora una struttura d’epoca, con tende e roulotte, e solo una serie di strutture in muratura: per quasi tre settimane siamo stati chiusi lì, senza tv, quasi senza Internet, questo ha fatto sì che la sera si stesse tutti a mangiare, bere e suonare la chitarra in spiaggia”, ricorda il regista, per restituire un’atmosfera fuori set che in qualche modo era canale comunicante con il racconto messo in scena.
Gli anni belli esce al cinema dal 7 febbraio, una produzione Bendico e Rai Cinema.
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