“Le moderne tecniche di restauro ci mettono al sicuro almeno per i prossimi 100 anni”. Parola di Giuseppe Rotunno, uno dei maestri della fotografia italiana (leggi l’intervista) e, di recente, molto impegnato nell’opera di recupero del nostro patrimonio cinematografico.
L’utilizzo di materiale indeformabile, in poliestere, permette infatti la riproducibilità delle matrici originali, con una resa ottimizzata da avanzate tecniche digitali.
“Il negativo di C’eravamo tanto amati“, racconta Rotunno, “era ridotto ormai al limite della sua definizione. Abbiamo tentato di rigenerarlo per un anno intero, rassegnandoci poi alla produzione di una nuova matrice”.
Una metodologia di lavoro adottata in tutto il mondo. “Con la sola differenza”, precisa ancora Rotunno, “non poco rilevante, che quando si restaura un film americano in genere questo trova un nuovo approdo nelle sale, recuperando così i costi dell’intera operazione”. In Italia invece questo non succede. Iniziative del genere si fermano in qualche modo alla “ripulitura degli scaffali”. E, a parte eventi speciali, difficilmente le pellicole recuperano la circuitazione su grande schermo.
Alla relazione sul restauro di C’eravamo tanto amati è dedicato un dettagliato capitolo, firmato proprio da Rotunno, all’interno del volume omonimo, curato da Enzo Siciliano (leggi la recensione di zip).
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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