Gitai: “Ecco la mia utopia di convivenza”

Il virtuosismo di un unico piano sequenza di 85 minuti è il principale punto di forza di Ana Arabia di Amos Gitai, in concorso alla Mostra


VENEZIA – Il virtuosismo di un unico piano sequenza di 85 minuti è il principale, se non l’unico, punto di forza di Ana Arabia di Amos Gitai, in concorso alla Mostra, un piccolo film che prosegue il discorso sulla convivenza tra israeliani e palestinesi che da sempre caratterizza questo autore. Girato in una piccola comunità di ebrei e arabi, che vivono gli uni a fianco degli altri, in un quartiere povero di Jaffa, il film va sulle tracce di Ana, una sopravvissuta al lager che ha sposato un arabo, Youssef, pagandone le conseguenze, ma senza mai lasciarlo, e che ora è morta. Per il sessantatreenne regista di Kippur e Free Zone, il film è ”una fragile utopia e una metafora sulla convivenza tra i due popoli, ma anche una bomba di pace contro le violenze che scorrono tra ebrei ed arabi”.

A guidarci nel percorso in un dedalo di casupole ai margini di palazzoni moderni, la giovane e un po’ sprovveduta giornalista Yael (Yuval Scharf) che raccoglie le testimonianze di Youssef, di sua figlia e di sua nuora, del figlio, ma anche dei vicini. Tutti parlano del passato, di storie di famiglia, ma anche di cose quotidiane, come la coltivazione delle piante e la difficoltà di andare dal dentista dati i prezzi. ”Per Ana Arabia mi sono prefisso una meta ambiziosa – spiega Gitai – girare l’intero film in una sola sequenza, senza stacchi. Un modo formale e sostanziale allo stesso tempo per far capire come non si debbano spezzare i destini di ebrei e arabi. I loro destini sono intrecciati e si deve per forza trovare un modo pacifico di coesistere, non in continuo conflitto, ma vivendo ognuno la propria vita e nutrendosi e stimolandosi gli uni con gli altri”. Il film che, pur ispirato a storie vere non è un documentario, mostra ”la semplicità di questa gente. Io sono nato ad Haifa, una città in cui ci sono buoni rapporti tra le due comunità. Trovate negli ospedali di Haifa medici palestinesi e c’è una vita del tutto normale e pacifica. Ma queste nicchie di convivenza sono in estinzione e vanno protette. Israele resta la culla di tre grandi religioni e un dialogo come questo va stimolato per fermare i massacri”.

Sul futuro del Medio Oriente Gitai infine dice: ”Non so come finirà, se ci sarà un massacro o meno. Ma è giusto in un film simulare l’altra opzione, quella positiva. 

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03 Settembre 2013

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