GIOVANNI DALLE BANDE NERE


Il mestiere delle armi, lo stupendo film di Ermanno Olmi in lizza con La stanza del figlio per la Palma d’Oro, m’induce a ricordare che Giovanni dalle Bande Nere, o Joanni, come con scrupolosità filologica lo chiamna Olmi, ha due precedenti, invero non troppo gloriosi, nella storia del cinema italiano.
Nel 1956 è uscito un film che per l’appunto s’intitolava Giovanni dalle Bande Nere ed è passato del tutto inosservato sia alla critica che al pubblico, sebbene il protagonista, cioè Giovanni de’ Medici fosse nientemeno che Vittorio Gassman.
Del resto, il primo a non averne un buon ricordo è lo stesso attore il quale lo rammenta con queste parole: “Non posso ricordare altro che un calcio che mi diede un cavallo rompendomi due costole. Era il meno che mi potesse succedere. Fra l’altro, cito questo film anche come il primo in cui non fui pagato, cioè fui fregato dal produttore, cosa che succedeva percentualisticamente molto più spesso, ma io fino allora mi ero salvato…”.
Tanto per non far nomi, il produttore si chiamava Ottavio Poggi, mentre il regista era Sergio Grieco, dai nobili natali, ma particolarmente sfigato nel suo mestiere.
Altra musica per il primo film su Giovanni, anche se particolarmente stonata. Si tratta di Condottieri di Luis Trenker, anno di uscita il 1937, film che più di regime non si può. Infatti a Venezia si spartì il premio per il miglior film italiano con Scipione l’Africano di Carmine Gallone.
Erano gli anni del maggior consenso al fascismo. Quindi nessuno osava parlarne male, tanto più che Trenker raffigurava il suo eroe come un precursore del ‘duce’.
Infatti, se uno scorre le recensioni dei più togati critici dell’epoca, anche quelli che come Mario Bromo, critico de “La Stampa”, sembravano molto tiepidi verso il regime, non troverà una parola negativa nei confronti dei Condottieri.
Ci fu un’eccezione però, almeno una, poiché il dubbio che ce ne fosse un’altra, sfuggita alla storia, rimane sempre. E’ stata quella scritta da Mario Pannunzio su Omnibus, il primo rotocalco italiano, fondato e diretto da Leo Longanesi. E che critica negativa, quella di Pannunzio!
Esordiva citando a lungo la lettera che Pietro Aretino aveva inviato a Francesco degli Albizi, raccontando per filo e per segno la morte di Giovanni: esattamente come la racconta Olmi. Poi passava a descrivere la morte, come l’aveva vista Trenker: “Ferito a una gamba, durante la battaglia contro Malatesta, cade da cavallo e muore. Lo vediamo di lì a poco disteso sul letto funebre, le mani incrociate sul petto. Nella tenda, in stile balneare, nessuno veglia alla sua morte. Il condottiereo deve essere solo, sul suo letto dalle lenzuola ben rimboccate, perché lo spettatore assista alla sua trasfigurazione. Ed ecco il volto diventare di marmo; le lenzuola rimboccate pure di marmo, forse lì per lì non ci se ne accorge, ma abbiamo assistito alla rappresentazione di un simbolo… Trenker si ritiene padrone della ‘storia ideale’. Ideale di che cosa? Dei candelabri? Dei condottieri? Del periodo del Rinascimento? Di Giovanni delle Bande Nere? Nessuna di queste storie ci è stata rappresentata in Condottieri…”
Poi Pannunzio prosegue dando a Trenker del fotografo dilettante. Insomma lo distrugge con una ferocia che oggi troviamo solo in certe critiche che si definiscono di tendenza.
Quando si parla di antifascismo nel cinema del fascismo si cita sempre il quindicinale Cinema, quello che dirigeva l’ignaro Vittorio Mussolini che non s’accorgeva di covare “serpi in seno”, quali Mario Alicata, Beppe De Santis e Carlo Lizzani. Di Omnibus si parla poco, anche perché Longanesi nel dopoguerra ha avuto il torto di fondare e dirigere per qualche tempo Il Borghese. Tra le due pubblicazioni, cui potremmo aggiungere una terza, Primato, diretta da Giuseppe Bottai, ideologicamente vicina a Cinema, una differenza sostanziale c’è: in “Cinema”, come in “Primato”, scrivevano molti giovani, partiti per modificare il fascismo dal di dentro e finiti per convertirsi al comunismo (il “lungo viaggio” raccontato da Ruggero Zangrandi, per intenderci); in Omnibus si partiva direttamente da una posizione distante dal fascismo, quella dei liberali, che disprezzavano il fascismo soprattutto per la sua rozzezza e demagogia.
Pannunzio nel dopoguerra finirà anche lui per dirigere un settimanale: “Il Mondo”, su posizioni radical-liberali. Su posizioni anticomuniste, è vero. Ma erano le uniche che Togliatti rispettava e anche temeva. Era ammirato dalla intelligenza di Pannunzio, anche se lo considerava un avversario.

autore
14 Maggio 2001

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