VENEZIA – Un uomo, Giorgio Pressburger, è alla ricerca, tra dubbi e tormenti, dei segni della propria fede, mettendo a nudo la sua esperienza, scardinando certezze e false ipocrisie, entrando nelle pieghe più nascoste della mente umana. Indaga le paure infantili, le menzogne dell’età adulta, l’illuminazione della grazia e, attraverso il sostegno di alcuni compagni di viaggio come Dostoevskij e Kafka, il suo discorso si trasforma in un serrato confronto con la questione del male e della sofferenza. Un viaggio che si intreccia tra culture molto diverse, una testimonianza preziosa che si trasforma in un’indagine profonda dell’animo umano. Dopo l’esperienza de L’orologio di Monaco, Mauro Caputo torna a confrontarsi con il pensiero del regista, scrittore e drammaturgo ungherese naturalizzato italiano, in un saggio per immagini dove è lo stesso Pressburger a prestare voce e corpo al protagonista del film, dal titolo Il profumo del tempo delle favole, presentato alle Giornate degli Autori e distribuito da Istituto Luce Cinecittà.
“Tutto nasce – dice il regista – da un’intervista che avevo fatto a Giorgio insieme a Claudio Magris, che poi sarebbe stata alla base del film Messaggio per il secolo, dove si parlava più che altro della sua vita e delle sue opere. In quell’occasione ho cominciato a leggere approfonditamente anche i suoi libri e mi sono appassionato al suo modo di pensare in maniera profonda e disincantata. Questo film si basa su un libro di vent’anni fa e parla di Fede, qualcosa che manca anche nel mondo attuale, non intendendo semplicemente fede religiosa, ma anche in un ideale. E’ un film sulla Fede, più che sulla religione. Sarà presentato il 25 ottobre ai rappresentanti di varie confessioni religiose nella sede dell’Enciclopedia Treccani, che ha gentilmente messo a disposizione lo spazio”.
“Il libro da cui il film è stato ispirato l’ho scritto vent’anni fa, e l’ho tenuto in un cassetto fino al 2004 – spiega Pressburger – a quei tempi lavoravo a Budapest, c’erano le tombe di mio padre e dei miei nonni e dei miei parenti, quelli che non sono stati uccisi dai tedeschi. Mi sono soffermato a riflettere su cosa faccia scattare nel cervello di una persona questo ferreo convincimento in un’idea o un sentimento religioso, e di come si propaghi in centinaia di milioni di persone”.
“Non costruire un documentario canonico – argomenta Caputo – può essere un problema, perché è difficile anche descriverlo. Ma era necessario mantenere una forma di rispetto per i testi e poi sfruttarela fortuna di avere l’autore stesso che presta la voce ai contenuti”. “E’ una cosa che può fare solo l’autore del libro – conferma Pressburger – altrimenti, data la forma così particolare del film, sembrerebbe tutto finto. Non avevo esperienza da attore, ma sono riuscito a fare il vuoto dentro e a diventare un contenitore di pensieri che si limitano a fluire ed essere. Io ho lasciato da parte il mio narcisismo, quello del dire ‘ci metto la faccia’ e Mauro il suo, quello di chi vuole controllare tutto. Mi diceva cosa fare e io senza battere ciglio lo facevo. L’unico problema che ho avuto e che io, con un piede sulla soglia degli ottanta, mi sento ancora un giovanotto. Per interpretare una persona anziana mi sono rifatto al protagonista de Il posto delle fragole, un vecchio professore che deve ricevere il nobel. Magari speravo di prenderlo anch’io”.
Il testo da cui parte la pellicola si chiama semplicemente ‘Sulla Fede’. “Ma questo titolo – scherzano entrambi – fa meno paura”. “Viene da un verso di Schoenlder – specifica Pressburger – ma io lo citavo a mia volta nel mio racconto ‘L’orologio di Monaco’, in correlazione all’uccisione di una povera prostituta in un distretto di Budapest. E’ un’esclamazione sofferente e ironica. Il tempo delle favole è tempo di massacri e crudeltà. E’ la guerra. Ma non ci sono risposte per tutto. L’uomo è imbambolato di fronte al districarsi di tutti gli elementi dell’esistenza, e lo sono anch’io, non è possibile riconoscersi del tutto”.
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