Giorgio Pressburger, ultimo capitolo della trilogia

Presentato a Notti veneziane delle Giornate degli Autori, La legge degli spazi bianchi, scritto e diretto da Mauro Caputo e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà


VENEZIA. Presentato a Notti veneziane delle Giornate degli Autori, La legge degli spazi bianchi, scritto e diretto da Mauro Caputo e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, chiude la trilogia dedicata a Giorgio Pressburger, scomparso due anni fa. Scrittore, traduttore, giornalista, regista teatrale e cinematografico, poliglotta e mediatore culturale come pochi nel nostro tempo, ha incarnato quell’identità storica e insieme quel continente ideale che chiamiamo ‘Mitteleuropa’.

Il testo de La legge degli spazi bianchi è tratto dall’omonimo racconto di Pressburger che nel 1989 dava il titolo a una sua raccolta di cinque storie che narravano di malattie del nostro corpo e di medici. Lo scrittore ancora una volta analizza i misteri più profondi che da sempre affascinano e spaventano l’uomo, alla perenne ricerca del significato e del senso della vita. Un anziano medico, ancora attivo, il dottor Fleischmann (letteralmente: uomo di carne), improvvisamente una mattina d’inverno non ricorda più il nome e il numero di telefono del suo migliore amico che ogni giorno chiama. E’ così quotidiana è la frequentazione che sull’agendina personale il dottore non ha fissato i riferimenti ora scordati. Una dimenticanza che è l’avvisaglia di una progressiva perdita della memoria, segno tangibile del tempo di vita trascorso, dell’avanza età e del decadimento psicofisico. Ironia della sorte la vittima è un uomo di scienza, sempre più immerso in un’atmosfera onirica dove realtà e finzione sembrano a tratti confondersi. La morte improvvisa del fratello lo getta nello sconforto più totale, l’equilibrio della sua esistenza si è rotto, e un sogno sembra annunciare il peggio. Tutto è scritto negli spazi bianchi, tra una lettera e l’altra. Il resto non conta. La vicenda intera si svolge nello studio ascetico ed essenziale del medico, interpretato da Fulvio Faranzano, e che è proprio una stanza della casa di Pressburger. A fare da controcanto al racconto le immagini dell’Archivio Luce con scene di macelli ed esperimenti di laboratorio.

L’incontro di Pressburger con il regista Caputo avviene nel 2013 che firma il documentario Messaggio per il secolo, una lunga intervista sulla vita: l’infanzia a Budapest, la guerra e la Shoah, l’Ungheria lasciata nel 1956, l’Italia che lo accoglie tra Roma e Trieste. Seguono altri due film, sempre distribuiti da Luce Cinecittà, che fanno parte della trilogia prima citata, tratti da suoi scritti che si affidano alla voce, alla sua presenza e alle riflessioni dell’intellettuale mitteleuropeo di origini ebraiche: L’orologio di Monaco (2014) e Il profumo del tempo delle favole (2016) dove Pressburger è stato interprete di se stesso e voce narrante. Due opere che gli regaleranno un inaspettato Nastro d’argento Speciale alla Carriera.

La legge degli spazi bianchi è il film che completa la trilogia a lui dedicata e conclude quel particolare viaggio che abbiamo intrapreso insieme, un percorso difficile perché controcorrente – dice il regista – Prima di morire aveva rivisto la sceneggiatura e aveva ascoltato la voce narrante di Omero Antonutti da lui scelta”, un testamento in terza persona. “Non aveva voluto esserne il protagonista perché questa non era la sua storia, ma una vicenda universale. Giorgio, ancora una volta analizza i misteri più profondi. Un’idea che fin dall’inizio è stata diversa dalle precedenti, una scelta che ho condiviso da subito con entusiasmo, purtroppo poco prima che Giorgio ci lasciasse. Quelle scelte iniziali mi hanno permesso di portare a termine il lavoro così come l’avevamo pensato insieme”.

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02 Settembre 2019

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