Nel nome del Veneto, un film che celebra il suo prezioso Prosecco famoso nel mondo, quale cuore di una commedia dalle venature noir, che a tutto tondo ruota intorno all’area delle poetiche e floride collide del Nordest: veneto è infatti lo scrittore del libro omonimo da cui il film è tratto, Fulvio Ervas, così come il regista Antonio Padovan, e ancora Stucky, il personaggio a cui dà corpo e vita Giuseppe Battiston, nato a Udine.
Antonio Padovan, esordiente, fa subito un quadro delle intenzioni e motivazioni di questo progetto: “Volevo raccontare le mie colline. Il paesino del film, come nel libro, è un collage di diversi luoghi. Vivo da 12 anni tra New York e Treviso. Il romanzo mi ha subito conquistato perché il giallo, come genere, si vede sempre meno al cinema e in questo caso mi sono ispirato ai gialli inglesi dove non ci sono morti sventrati e violenza evidente. Ho trovato il libro in libreria e incontrato l’autore tramite un club di lettrici: Fulvio Ervas, che poi ha lavorato alla sceneggiatura, era quello che si divertiva di più a cambiare rispetto al libro. Ho scritto con lui e con Marco Pettenello, sceneggiatore anche di Carlo Mazzacurati, che in quanto veneto è un mio modello anche per il suo amore per la semplicità e le cose e situazioni normali”.
Finché c’è prosecco c’è speranza ruota attorno a un caso di apparente suicidio da indagare per il goffo e un po’ inesperto ispettore veneto-persiano Stucky, un perfetto Giuseppe Battiston – un personaggio che “si muove male, si veste male, fa fatica persino a parlare – come dice l’attore – un orfano di 50 anni, con tante ferite non ancora chiuse”. Nell’universo delle cantine del Prosecco, nelle dinamiche che dettano il passo alla creazione delle bollicine, nei profili delle persone che determinano l’andamento di questo mondo ovattato, per alcuni aspetti segreto, l’ispettore mette pian piano a fuoco una chiave di lettura per la morte del conte vignaiolo Desiderio Ancillatto (Rade Serbedzija), forse suicida, forse vittima per mano d’altri. Ma di certo, dalla sua morte, è partita una catena di omicidi.
“Sono un vice ispettore di polizia. Il mio capo è Roberto Citran – racconta Battiston – Mi trovo a indagare in una zona di vigneti, io che non capisco nulla di vini, e trovo coinvolti nel caso anche proprietari terrieri e maggiorenti della zona. Il film mescola la struttura del giallo a un’evoluzione intima ed emotiva: tutti hanno una doppia vita. In quelle zone oggi c’è benessere materiale ma anche perdita di rapporti e valori”.
Teco Celio, che ha il ruolo del matto del paese, rincara la dose sul suo personaggio ricordando che ha “la mania della pulizia, toglie la ruggine da tutto, anche in senso morale, insomma è un giusto in un film bagnato dall’umanità”.
Il film non cammina passo passo con il libro ma di questo ha mantenuto intenso il fascino dei luoghi, la sua unicità di terra prolifica e dalla forte personalità, omaggio che troviamo non solo nella trama ma anche nella regia di Padovan che ha a cuore i temi della sostenibilità e della difesa dell’ambiente. Plauso anche per l’opzione di un’area geografica non consueta nei percorsi cinematografici italiani, a conferma delle bellezze naturali che il nostro territorio offre, visive e paesaggistiche, ma anche di spunto narrativo, che qui fa scopa anche con l’immaginario letterario del genere, dichiarato nella creatività della locandina, che ricalca quella classica della collana Mondadori. Il tutto accompagnato dalla colonna sonora di un altro artista “della zona”, il friulano Teho Teardo, che con le sue note che accompagna e inebria, un po’ come un calice di Prosecco. E tra gli interpreti c’è anche lo scrittore e attore Vitaliano Trevisan.
Il film esce in sala il 31 ottobre, distribuito da Parthénos.
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