Alla fine tutti le chiedono di suo padre, il grande Charlot. E lei non sembra infastidita. Anzi, accetta di raccontare qualche aneddoto sia pur conosciutissimo. E stupisce tutti ammettendo francamente che papà Chaplin era amareggiato dall’esilio imposto dall’America. “Mio padre, quando ci siamo trasferiti in Svizzera, ripeteva spesso ‘non sono amareggiato’, lo diceva sempre, un po’ troppo spesso… I miei genitori erano fantastici, perché io non ho mai saputo che era scappato dagli Usa per le accuse di comunismo. Per me eravamo in vacanza in Svizzera. Poi, quando all’età di 14/15 anni ho scoperto i veri motivi dell’allontanamento, a quel punto ero diventata marxista e quindi ne fui entusiasta”.
Con l’inconfondibile sorriso e quella mimica che la rende unica, Geraldine Chaplin ha incontrato il pubblico del Festival di Roma concedendosi in una chiacchierata a ruota libera in cui ha ricordato molti momenti salienti della sua carriera. Una clip ne ha rievocato alcuni. Da quando, a 8 anni esordì in Luci della ribalta (era il ’52) al ruolo di Tonya ne Il dottor Zivago. Dal sodalizio anche sentimentale con Carlos Saura, che la volle in quasi tutti i suoi film tra cui l’indimenticabile Cría cuervos, al rapporto professionale con Bob Altman, che la diresse in Nashville fino all’esperienza di Pedro Almodovar.
E proprio la scena di Parla con lei ci ricorda il suo primo amore, la danza classica. “Mi abbandonò lei. Perché io avevo la danza molto chiara nella mia mente, ma il corpo non seguiva. Così ho smesso, sviluppando un odio profondo nei confronti di questa arte, finché l’esorcismo di Almodovar non mi ha liberato”. Al cinema è passata in modo diretto, naturale. “Avevo un lavoro al circo come domatrice di elefanti. Suona romantico, ma è molto faticoso. A un certo punto mi sono detta fai l’attrice, il cognome ti aiuterà. E mi sono ritrovata a recitare con Jean Paul Belmondo”. Il cognome, sicuramente, ha aiutato. Ma anche la voglia di sperimentarsi recitando in tante lingue e situazioni diverse. “Sono cresciuta in un ambiente molto creativo: mio padre lavorava tutti i giorni dalla mattina alla sera e noi dovevamo fare silenzio. Non venivano a trovarci molte persone in Svizzera, diciamo che era un mortorio. Una volta venne James Mason”. Fosse stata a Hollywood sarebbe andata diversamente? “Essere figlia di Chaplin mi ha comunque aperto tutte le porte. Era un genio, anche se lui non amava che si usasse questa parola, era l’uomo più amato al mondo. E io ho goduto di questo amore. Tutti si facevano in quattro per aiutarmi perché ero la figlia del grande Charlie Chaplin”.
Oggi ha 70 anni e non disdegna le opere prime, le sfide strane, come gli horror. “Cerco di lavorare con registi i cui film mi appassionano. È successo anche con Dolares de arena, avevo ammirato il lavoro di questi due registi dominicani”. Nel film di Laura Amelia Guzman Conde e Israel Cardenas è Anna, un’anziana signora che paga in cambio d’amore la giovanissima indigena Noelì. “Una volta avevo tante certezze nei confronti dei miei principi, adesso penso che, per gli esseri umani, va bene ogni cosa”, commenta. Si parla di turismo sessuale in quest’opera tratta dal romanzo di Jean-Noel Pancrazi. E ci sono anche scene d’amore lesbo. Imbarazzante? “Che volete che vi dica? Che sono stata nella Repubblica Dominicana a dormire con tante ragazze per prepararmi. No. Non l’ho fatto. Tutto è avvenuto in modo molto spontaneo”.
Quando si parla di Altman si illumina. “Lavorare con lui era una festa, era uno spettatore perfetto. E sul set ci divertivamo: c’era marijuana, popcorn, alcol mentre si guardava il girato della giornata. Per Nashville riuniì tutti gli attori e ci chiese se avevamo lo script. Bene, buttatelo via. Pensate chi siete, con chi siete e cosa provate. Questo basta. Potete anche comporre le vostre canzoni ma i diritti sono miei”. E con gli altri attori come si trova? “Impegnativo è stato rapportarmi con la protagonista di Dolares de arena, perché non è una professionista. Ma ho anche lavorato con attori veri che, quando li guardi negli occhi, non trovi nulla”.Continua a girare in Spagna: tra i successi recenti c’è The Orphanage, che ha vinto sei premi Goya. “Bayona si è presentato a casa nostra con un copione in mano, si capiva dal primo sguardo che respirava cinema. Lavorerò ancora con lui insieme a Sigourney Weaver. Per me nello script non c’era nessun ruolo, allora mi ha proposto quello di un’insegnante cinese 25enne di Manchester. Ma come faccio? E lui: impara l’accento di Manchester”.
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Lascia l'incarico assunto nel 2012 per approdare al Touring Club: Un'opportunità maturata tempo fa e che mi è sembrato corretto mantenere riservata fino ad oggi per non interferire con l'andamento del Festival"
Bilancio positivo per Wired Next Cinema, la sezione parallela al Festival di Roma dedicata ai nuovi linguaggi dell'audiovisivo. Spunti interessanti dall'illustratrice Olimpia Zagnoli sui formati brevi e le nuove forme di creatività. Tra gli appuntamenti più seguiti, soprattutto dal pubblico di giovani, gli incontri con le star del web Maccio Capatonda, The Pills e The Jackal, tutti alle prese con l'esordio sul grande schermo
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