“È una vera reinterpretazione del film originale. Davvero un horror ben fatto”.
Queste le entusiastiche dichiarazioni di George A. Romero, mago dell’horror famoso per i suoi film “di zombi”, a proposito de La città verrà distrutta all’alba, remake a firma Breck Eisner del suo classico omonimo del 1973.
Autentica manna per l’ufficio comunicazione di Medusa, che lo distribuirà a partire dal 23 aprile, questa frase – che, leggenda vuole, sia stata pronunciata dal regista di Pittsburgh nel corso di una conversazione telefonica con il suo “erede” – è diventata il lancio della pellicola, “marketizzata” come uno dei pochi rifacimenti hollywoodiani ad aver ricevuto una benedizione direttamente dal creatore della storia originale.
Cosa rara, in effetti, che assume però tutt’altro significato se si vanno a spulciare i titoli di coda: Romero figura infatti tra i produttori, e questo fa sembrare le sue sviolinate nei confronti dell’opera decisamente meno sincere e più scontate.
Il film è comunque meritevole di una visione sia da parte di chi ha amato l’originale, sia di chi semplicemente vuol concedersi un’ora e mezza di brividi e sensazioni forti con un horror adrenalinico e ben ritmato.
Senza ricalcare pedissequamente le orme del predecessore, la pellicola offre una storia tutta nuova attorno allo stesso tema – un virus che conduce alla follia omicida i miti abitanti di una cittadina di provincia americana – presentando un sottotesto politico forse meno marcato rispetto al modello degli anni ’70 (ma comunque presente) e puntando dritto su una dose massiccia di action e gore.
“Una delle cose interessanti di questo film è che non si tratta di una storia di morti viventi”, commenta il regista Eisner, sottolineando l’atipicità del prodotto rispetto alla gran parte della filmografia romeriana.
I “pazzi” del titolo inglese (The Crazies, comune a questa versione e all’originale romeriano) sono anzi l’esatto contrario dei lenti cadaveri ambulanti che popolano La notte dei morti viventi e i suoi svariati seguiti.
“Le conseguenze che il virus ha sui folli – racconta il responsabile degli effetti speciali Robert Hall – sono venute fuori dall’idea che rendesse le sue vittime iper-vive. È come se la vita uscisse dalle loro vene creando delle sacche d’infezione. Il virus deve uscire necessariamente dagli occhi e dalle orecchie”. Altro che ‘morti viventi’, questi infetti scoppiano letteralmente di vita!
Per rendere il trucco credibile, l’equipe ha studiato su manuali di medicina alla ricerca degli effetti provocati da malattie reali, come il tetano. “Diciamo che è stato difficile mangiare per qualche giorno”, conclude scherzosamente Hall.
“L’aver realizzato un trucco strettamente ancorato alla realtà non ha fatto che aumentare il pathos per il destino degli infetti – gli fa eco l’attore Joe Anderson – Non hai l’impressione di guardare un mostro, quanto una persona che ha un gravissimo problema. Sono degli esseri umani in tutto e per tutto che sono però molto ma molto malati.”
Per questo motivo molti trovano i “folli” parecchio più spaventosi degli zombi. Se i secondi agiscono per fame e per istinto, attaccando le vittime solo a vista e con movimenti goffi e impacciati, i primi applicano fini strategie per uccidere nei modi più pittoreschi ed efferati, tendendo trappole alle proprie prede, all’occorrenza nascondendosi o fingendosi morti, per poi scattare all’improvviso quando il malcapitato si avvicina. Nondimeno, sono in grado di usare armi e oggetti pericolosi – mazze, rastrelli, trebbiatrici e chi più ne ha più ne metta – per poter infliggere più dolore possibile.
Gli spaventi, insomma, sono garantiti.
Il resto lo fanno un montaggio serrato e una sceneggiatura solida, che mantenendo un messaggio antimilitarista di fondo conducono lo spettatore, tra un salto sulla sedia e un altro, al tragicomico finale, unica punta di (amaro) umorismo in uno scenario altrimenti nerissimo.
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