Una tragica vicenda di cronaca avvenuta nel 2004 che si trasforma in un requiem attraverso la rielaborazione di un gruppo teatrale: ecco Gelsomina Verde, il film di Massimiliano Pacifico disponibile dal 29 aprile sulla piattaforma 1895, dopo aver debuttato alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro tra le proiezioni speciali due anni fa.
Gelsomina, che tutti chiamavano affettuosamente Mina, è diventata un simbolo della lotta alla camorra. Ventiduenne di Scampia, attiva nel volontariato, venne torturata per ore e uccisa con un colpo di pistola, quindi il suo corpo venne dato alle fiamme all’interno della sua auto. Del tutto estranea agli ambienti criminali, aveva la sola ‘colpa’ di aver frequentato per un breve periodo un ragazzo, Gennaro Notturno, entrato nel clan degli scissionisti di Secondigliano.
Una storia ripresa anche da Roberto Saviano in Gomorra e nella serie tv omonima con il personaggio di Manu (Denise Perna), che appare nel nono episodio intitolato proprio Gelsomina Verde.
Francesco Verde, fratello di Gelsomina, è una presenza forte del film di Pacifico. “Non è stato facile rifare mia una storia che avevo cercato di tenere lontana e interpretare me stesso”, ha confidato. “Il progetto – spiega Massimiliano Pacifico a Cinecittà News – nasce diversi anni fa. Gianluca Arcopinto ha prodotto il mio corto sulla stessa vicenda andato in onda su Sky. Lì un gruppo di attori si incontrano per un’audizione con un regista portando un monologo dedicato alla vicenda di Gelsomina che viene raccontata da diversi punti di vista contrapposti. Il corto termina proprio con il litigio furioso tra i ragazzi, litigio che non approda a nulla e che vuole essere una metafora di queste vicende tanto complesse quanto insolute. Nel lungometraggio ho mantenuto questa impostazione per allontanarmi dall’immaginario legato a fatti di cronaca simili”.
Ecco dunque la scelta di prendere le distanze dal contesto della vicenda, la periferia di Napoli, e trasporla in un luogo asettico, Polverigi, in provincia di Ancona, che ospita un celebre festival teatrale. “Abbiamo lavorato esattamente come si lavora per la costruzione di uno spettacolo di avanguardia – spiega ancora Pacifico – ho individuato innanzitutto il regista, Davide Iodice, che lavora sulle emozioni e costruisce racconti non convenzionali. Quindi abbiamo realizzato frammenti di uno spettacolo che non esiste. Polverigi ci ha messo a disposizione la sua residenza teatrale, grazie alla collaborazione con Velia Papa che ci ha ospitato per due settimane a dicembre. La residenza è divenuta la location del film e un luogo di commistione tra attori, troupe e i due registi. Eravamo tutti chiusi in questo luogo, anche a dormire, in un piccolo paese che spinge al ritiro monastico”.
Non banale la scelta degli attori. Oltre a Maddalena Stornaiulo che era già stata Gelsomina Verde nel cortometraggio e che condivide molto con la giovane uccisa, essendo lei stessa attivista sul territorio a Scampia, impegnata nel sociale e vicina a Mina che è stata un suo riferimento fin da bambina, gli altri non sono solo napoletani.
“C’era da perdere qualcosa in termini di dialetto, ma da guadagnare nell’allontanarsi dai luoghi comuni”, dice ancora Pacifico, noto per il suo doc con Toni Servillo Il teatro al lavoro. Così sono entrati nel progetto due torinesi come Pietro Casella e Francesco Lattarulo e una romana di origine pugliese come Margherita Laterza. “Volevo arrivare a un momento di crisi e Casella, già protagonista di Pietro di Daniele Gaglianone, si è fatto carico di esporre un punto di vista per così dire ‘razzista’, fortemente critico verso i napoletani”.
Insieme a Lattarulo è stato proposto da Gaglianone che è un consulente artistico del progetto. Peppe D’Ambrosio, invece, è un ragazzo della Sanità, quartiere del cuore di Napoli. “Ho dato molto spazio alle improvvisazioni – racconta ancora Pacifico – non davo agli attori la sceneggiatura e puntavo sulla loro emotività. Così è nata la scena dello scontro tra Pietro, che giudica la scelta della famiglia di prendere un risarcimento dai camorristi, Maddalena gli darà una lezione di vita”.
All’autore, classe 1978, interessa soprattutto la commistione tra verità e finzione scenica e in questo la presenza di Francesco Verde è decisiva. “Lui è coinvolto da sempre nel progetto, ma mentre nel cortometraggio era solo un consulente, qui è diventato parte integrante del film. Ha creato un’associazione per ricordare la sorella e desidera gettare luce su questa vicenda e portarla fuori da Napoli. È una storia emblematica perché la famiglia ha dovuto accettare un risarcimento dal criminale per timore di ritorsioni. Lo Stato ha riconosciuto Mina come vittima innocente ma non ha garantito alla famiglia i diritti all’indennizzo perché una legge prevede che se c’è un parente, fino al quarto grado, coinvolto in attività criminali si perde il vitalizio. È una legge assurda perché condanna certe aree del nostro paese a non avere alcuna possibilità di riscatto: è inevitabile che ci sia un parente coinvolto in qualche reato”.
E perché ha scelto proprio questa vicenda di camorra, tra le tante? “E’ una storia unica per raccontare la non presenza dello Stato. Anche se questo non è un film d’inchiesta, mi sono documentato molto, ho parlato con magistrati e avvocati, con la famiglia e con la prefettura, volevo mostrare tra l’altro quanto questi fatti siano controversi”.
Come La mia classe di Daniele Gaglianone, altro film prodotto da Arcopinto, Gelsomina Verde ha il sostegno di Rai Cinema. Ora Pacifico sta lavorando a due sceneggiature di finzione che lo porteranno lontano dal teatro, ma non dal documentario. “Frederick Wiseman è il mio punto di riferimento e di riflessione, un modello inarrivabile ma sempre presente. Il mio approccio è filmare ininterrottamente senza mai intercedere col soggetto, voglio far uscire momenti di verità”.
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