È un C’eravamo tanto amati per la generazione di fine anni ’60, il nuovo film di Gabriele Muccino, Gli anni più belli, in sala dal 13 febbraio in 500 copie con 01 Distribution. Film ambizioso, scritto con Paolo Costella, con le musiche di Nicola Piovani e una canzone di Baglioni come title track, che vuole riassumere quarant’anni di storia italiana – e non solo italiana perché anche la caduta del Muro di Berlino e l’11 settembre entrano in scena – con riferimenti al movimento studentesco, a Mani Pulite, alla discesa in campo di Berlusconi e alla nascita dei 5stelle.
“La grande Storia ci definisce anche se non lo vogliamo – spiega Muccino – Il Muro di Berlino aprì l’orizzonte, Mani Pulite diede l’idea del cambiamento, di un reset della classe politica perché ne arrivasse una migliore, poi l’11 settembre segnò una chiusura del nostro orizzonte, da allora siamo diventati più vulnerabili, attaccabili. Nel 2009 si pensò che la classe politica avesse sbagliato tutto e che si potesse ricominciare da capo e rilanciarsi. È una continua sfida verso il domani, i miei personaggi pensano che domani sarà un giorno migliore, non si rassegnano. Il tempo è il grande motore di questo film”.
Quattro in scena, raccontati da adolescenti e poi nell’età più matura con giovani attori somigliantissimi agli adulti. Gemma (Alma Noce / Micaela Ramazzotti) è una ragazza bellissima ma segnata dalla perdita della mamma, quando è ancora minorenne, instabile, una mina vagante. Deve trasferirsi a forza a Napoli lasciando il grande amore Paolo (Andrea Pittorino / Kim Rossi Stuart) introverso e studioso, che diventerà professore di liceo assistendo la madre malata fino alla fine. L’amicizia sembra indissolubile con Riccardo (Matteo de Buono / Claudio Santamaria), sopravvissuto a un proiettile durante una carica della polizia, aspirante giornalista, velleitario, sposato con Anna (Emma Marrone) ma incapace di assumersi delle responsabilità. E poi c’è Giulio (Francesco Centorame / Pierfrancesco Favino), figlio di un meccanico rude e disonesto, che prenderà la laurea in giurisprudenza pieno di ideali e diventerà invece un rampante avvocato facendo assolvere un onorevole coinvolto nella diffusione di sangue infetto. Ne sposerà la figlia (Nicoletta Romanoff) dopo una storia finita male con Gemma, affogando nella ricchezza e nell’infelicità.
“C’eravamo tanto amati – spiega ancora Muccino – mi ha certamente ispirato, ma mancano tanti elementi perché la nostra generazione è cresciuta all’ombra della politica, della morale, dell’antagonismo tra ricchi e poveri, all’ombra di chi ha fatto la Resistenza, il ‘68, il ‘77, ma senza avere quegli stessi valori, anzi con un complesso di inferiorità. Non siamo riusciti a metabolizzare quel bagaglio di idee, ci siamo sentiti passivi e transitori. Il film di Scola è stato un punto di partenza, è un film formativo come Ladri di biciclette, Una vita difficile e mille altri. Gli anni più belli è pregno del cinema di cui mi sono nutrito: Zavattini, Risi, Scola, Fellini. E’ un film sull’amicizia, il collante che ha dato impulso a queste esistenze. I quattro amici si ritrovano nelle cose più semplici che avevano conosciuto da ragazzi”.
Pierfrancesco Favino, attore d’elezione per Muccino fin da L’ultimo bacio, riflette: “Gabriele ha descritto molto bene la nostra generazione. Mentre in C’eravamo tanto amati alla fine il gruppo si sgretola, anche se ascoltiamo un canto partigiano, la nostra generazione, che è una generazione silente, trova la propria voce, una voce laica che riesce anche ad essere creativa”. Altro “mucciniano doc” Claudio Santamaria. “Il mio personaggio è smarrito, cerca la sua identità nel Movimento del cambiamento – evidente il parallelismo con il M5S, ndr – pensa che basti l’onestà, che invece non è sufficiente per fare politica, perché serve una competenza che lui non ha. È convinto che internet abbia dato libertà di espressione a tutti”. Per Kim Rossi Stuart, che dà al suo personaggio una malinconia quieta e la convinzione che la cultura possa rendere liberi: “Paolo è apparentemente un perdente, si fa portare via la donna, vive con la mamma, ma ha una visione scevra da vittimismo e non ha bisogno di trovare conferme fuori da sé, in questo modo trova un’esistenza bella e piena. Una cosa importante in un’epoca in cui l’eroe è uno che raggiunge il consenso attraverso il vittimismo come Joker”. Micaela Ramazzotti smorza il parallelo con Stefania Sandrelli. “Lei giocava in un altro campionato e anche il suo personaggio aveva un briciolo in più di orgoglio, si ritraeva dall’incontro con gli ex rifugiandosi dentro la macchinetta a farsi le foto. Gemma, invece, rimane a farsi insultare da Paolo. Ha subìto delle privazioni affettive che la portano a incassare. Basta un flirt e lei ritrova un po’ di vita. È depressa, disperata. Amo le donne sbagliate, mi piace interpretarle perché l’umanità è piena di imperfezioni e mi aiutano a fare pace con me stessa. Per lei i migliori anni sono quelli che verranno”.
Emma Marrone è alla sua prima prova come attrice con tante scenate contro il marito Santamaria: “Ho accettato la sfida che quel pazzo di Gabriele mi ha lanciato. È un regista comprensivo, garbato con tutti. Mi sono avvicinata ad Anna di pancia come da bambini quando si giocava a mamma e figlia. Ho lavorato d’immaginazione. Rifarò l’attrice se mi proporranno qualcosa di sensato”.
Tutto il gruppo sarà a Sanremo il 4 febbraio. E in coda c’è la canzone di Claudio Baglioni Gli anni più belli. “Baglioni mi ha fatto ascoltare un inedito – racconta Muccino – e mi è sembrato bellissimo, così abbiamo cambiato titolo al film, che doveva chiamarsi I migliori anni ma la canzone c’era già…”.
Un finale che mette tutti d’accordo. “Un finale pacificatorio – ammette Muccino – negli altri miei film il lieto fine era un po’ strappato, qui volevo dire che la vita va avanti e certi errori possono essere rammendati. Cosa che non c’era in A casa tutti bene. Questo finale rasserenante e commovente viene dall’insistenza di Pierfrancesco, perché io sono più pessimista, penso che la vita non ti premia, invece lui mi ha portato verso una strada felice. Giusta per il nostro momento storico in cui vogliamo sentirci dire che il domani sarà migliore”.
Non c’è un personaggio in cui si identifica, ma ognuno porta qualcosa di autobiografico. “Li amo tutti allo stesso modo. La mia parte contemplativa la incarna Kim, l’anima ambiziosa e corruttibile è in Favino, la paura della mediocrità e del fallimento in Claudio”.
Team produttivo composto da Marco Belardi, Rai Cinema e LeoneFilm Group. Grosso impegno – con un costo di 8 milioni – e grande production value. Tra i set anche la Fontana di Trevi – con una scena omaggio non solo a C’eravamo tanto amati ma anche alla La dolce vita e citazione di Marcello – e Cinecittà, con una settimana di riprese negli studios. Già venduto in Francia.
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