Ha meno di trent’anni e le idee molto chiare. Regista e fumettista di talento, Fulvio Risuleo ha cominciato a girare i primi cortometraggi in camera sua da adolescente, mosso dalla passione per l’horror, il cinema di genere e i fumetti.
Il Centro Sperimentale, che ha frequentato appena finito il liceo, gli ha permesso di arrivare a Cannes con Lievito madre, il cortometraggio di diploma che ha vinto il terzo premio della giuria ex-aequo nella sezione Cinéfondation. Con il premio ricevuto, ha finanziato Varicella, con cui è tornato sulla Croisette e ha vinto il Prix Découverte Sony CineAlta. Ha trascorso, poi, due settimane negli studi della Universal a Los Angeles offerti dal premio Cinemaster dei Nastri d’Argento e ha pubblicato il suo primo fumetto, “Pixel” (edizioni Ultra). Dopo un periodo trascorso a Parigi, dove ha realizzato Reportage Bizarre, Fulvio Risuleo ha lavorato al suo primo lungometraggio, che fa parte della sezione Panorama italiano di Alice nella città.
Un road movie ambientato sui tetti di Roma, Guarda in alto, in sala dal 18 ottobre racconta la storia di un’esplorazione nel “sopraterraneo”, quel mondo parallelo al contrario, in cui vive e si muove una comunità bizzarra, che desta meraviglia in Teco, il giovane assistente di un fornaio. Prodotto da Revok e Rai Cinema, il film di Risuleo ha un cast internazionale, che vede, insieme a Giacomo Ferrara (Suburra), l’attrice francese Aurélia Poirier, l’attore ceco Ivan Franek e lo svedese Lou Castel.
Com’è nato l’interesse per il “sopraterraneo”?
L’idea è nata 5 anni fa, avevo 22 anni. Non avevo ancora girato i corti, ero al secondo anno del Centro Sperimentale. Stavo ragionando sul soggetto del primo lungometraggio e tutto è andato di pari passo. I corti, i fumetti, il reportage bizzarro di Parigi e il film sono nati contemporaneamente e si sono condizionati a vicenda.
L’idea era quella di realizzare un road movie in cui una serie di personaggi che avevo in testa potessero stare insieme. Poi andando sui tetti di Piazza Vittorio mi sono accorto che sono tutti collegati e mi sono detto che avrei dovuto spostare i miei personaggi lì sopra. Da lì tutto ha cominciato a funzionare, tutto è diventato più logico, perché i tetti sono un sistema in cui tutto può succedere. Il film è ambientato in una sola giornata, che è simbolica, in cui il protagonista, Teco, esplora gli altri e se stesso.
Le ambientazioni bizzarre sembrano essere quelle che preferisce.
“Bizzarro” è la parola che più mi sta a cuore in questo momento, perché rappresenta tutto quello che mi interessa: non è fantastico, ma non è realistico, è strano, uno strano credibile.
Nel film si sente l’influsso del fumetto.
La mia ispirazione deriva soprattutto dal fumetto e in particolare dal fumetto franco-belga “Tintin”, cui il film non è direttamente ispirato, però rappresenta la lettura più approfondita che ho fatto durante l’adolescenza, quella che mi ha segnato di più. ‘Dai 7 ai 77 anni’ recita il fumetto, perché mette d’accordo tutte le età, raccontando esplorazioni, misteri, situazioni portate al limite, in modo leggero. Il torbido c’è, però non è mai malato. È una malattia accettata: una via di mezzo che mi piace.
Quali sono i suoi riferimenti cinematografici?
Uno degli autori che più ha ispirato nella realizzazione di questo film è Werner Herzog: i viaggi a piedi, i documentari mai troppo realistici, i film estremi. Mi piace il suo coraggio di fare quello che vuole, seguendo la sua filosofia artistica e di vita. Gli altri riferimenti che ho avuto ultimamente sono anche Michel Gondry e David Lynch, quei registi che sono artisti a tutto tondo, non sono registi e basta e portano se stessi nei loro film. Mi piacerebbe andare in questa direzione.
Lei condivide con Herzog l’aver girato il film d’esordio prima dei 30 anni.
Fin da bambino mi sono detto che volevo fare il primo film presto. A 15 anni ho scommesso con una mia amica che ci sarei riuscito entro 10 anni e così è stato, ho sgarrato di qualche mese. Non c’è una vera ragione per fare un film presto, però penso che sia frustrante arrivarci a 40 anni dopo aver aspettato molto tempo, tanto vale iniziare subito. Per fortuna alcune cose hanno giocato a mio favore e ho avuto la fiducia dei produttori, Revok e Rai Cinema.
Com’è nata la collaborazione con la Revok?
Ho cominciato da bambino a girare i primi corti casalinghi grazie all’aiuto di Donatello Della Pepa, che ha dieci anni più di me. Anni dopo sono entrato al Centro Sperimentale, Donatello ha aperto una casa di produzione e mi ha proposto di fare con lui il mio primo film in nome dell’amicizia e della fiducia che ci lega. Allora mi sono detto che, anche se con una casa di produzione piccola avremmo sicuramente avuto problemi a reperire il budget, valeva la pena provare, perché avrei avuto la libertà che un regista normalmente ottiene al decimo film. Infatti a livello creativo non ho avuto censure e ho capito che questo è il modo con cui voglio procedere in futuro.
Quanto è stata determinante l’esperienza del Centro Sperimentale?
Moltissimo. Innanzitutto gli devo la mia crew tecnica, che proviene al 90 per cento da lì. È con loro che ho girato i due corti che hanno vinto a Cannes. Loro conoscono la sceneggiatura dalla prima versione di 5 anni fa e il set ha funzionato anche per questo, nonostante i limiti di budget. Per quanto riguarda i docenti, l’esperienza con Daniele Luchetti e Marco Danieli è stata molto felice, mi hanno scelto nonostante fossi troppo giovane per i canoni della scuola e ho cercato di ricambiare la loro fiducia durante i tre anni di corso. Li sento ancora e mi danno spesso dei consigli.
Un personaggio del film, alla fine, sembra lanciare un suo messaggio allo spettatore.
“Il mondo ha bisogno di meraviglia”: è il mio modo di vedere le cose. Non volevo che il film fosse troppo criptico e quindi ho usato un personaggio come megafono per il mio messaggio, senza equivoci. Tramite due amici miei, che sono il blogger di Bizzarro Bazar e l’illusionista Mariano Tomatis che ha scritto un libro sulla magia urbana, ho capito che la meraviglia poteva essere la chiave di lettura del mio film. Infatti il motivo per cui ho scritto questo film è raccontare la meraviglia del protagonista, che, spinto dalla curiosità, comincia ad esplorare. Guardarsi intorno è un augurio che faccio al pubblico.
Guarda in alto è un film autobiografico?
Oltre alla somiglianza fisica con il personaggio principale (entrambi hanno le basette e i capelli all’insù, ndr), Guarda in alto è un film biografico direi, perché mi sono ispirato alle persone della mia vita per scrivere i personaggi della storia. Teco, il protagonista, per esempio, esiste ed è fatto di tante persone che conosco. Per questo abbiamo deciso di non renderlo troppo profondo, per far in modo che le persone ci si rivedano, come il personaggio di un videogame o di un fumetto, un vuoto da riempire.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Sto scrivendo un soggetto nuovo, diverso da Guarda in alto. Si tratta di un noir, che gira intorno a un cane di razza, un bulldog francese, in cui due storie si intersecano e vari personaggi si improvvisano investigatori. È un giallo, ma anche una commedia.
Il suo film viene presentato in anteprima ad Alice nella città.
Alice nella città è il festival giusto per questo piccolo film. All’inizio speravamo di arrivare a Cannes, però, col senno di poi, è meglio così. Se il film andrà bene qui, farà strada fuori. Sono fiducioso, perché molte cose stanno andando bene. Però non mi interessa il successo personale, vorrei, piuttosto, collaborare con altri, creare insieme. Prima di essere un regista, sono uno spettatore e vorrei creare per dare un contributo al cinema e alla ricerca artistica, per far uscire la gente da casa, per farla pensare, discutere, una cosa che il nostro cinema non fa molto in questo momento. Dovremmo tutti pensare un po’ di più alla collettività.
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