La parola che libera. E’ il tema di fondo del nuovo film di Francois Ozon (Doppio amore, Frantz, 8 donne e un mistero) prima in concorso alla Berlinale (vincendo il Gran Premio della giuria) e ora in sala con Academy Two dal 17 ottobre. Grazie a Dio, questo il titolo nettamente sarcastico, è un film abbastanza anomalo nella filmografia del regista francese, anche perché ispirato a un fatto di cronaca, l’inchiesta sul prete pedofilo Bernard Preynat accusato di aver abusato di una settantina di boy scout nell’omertà e nel silenzio delle alte sfere religiose che, pur sapendo da tempo, non hanno mai sospeso il sacerdote che ha continuato a occuparsi di minorenni e a dire messa.
Il film, che ha una struttura in qualche modo tripartita, si concentra su tre casi in un crescendo di pathos e partecipazione: quello di Alexandre (Melvil Poupaud), un alto borghese ultracattolico che è il primo a denunciare, ma lo fa rivolgendosi soltanto alle autorità ecclesiastiche; Francois (Denis Ménochet), ateo dichiarato che sporge denuncia e alimenta il caso anche sui media; Emmanuel (Swann Arlaud), ragazzo fragile che porta conseguenze indelebili delle molestie subìte. Ognuno di loro ha accanto un tessuto familiare a volte in grado di sostenere la sua difficile battaglia per la verità, altre volte ostile. E questa dialettica privata viene restituita da Grazie a Dio con molta verità e attenzione perché l’intento di denuncia è sempre perfettamente bilanciato con lo scavo del vissuto dei personaggi.
Ozon, che ha incontrato i membri dell’associazione delle vittime La Parole Libérée per scrivere la sceneggiatura, dice: “Tutto ciò che raccontiamo è già apparso sui giornali francesi, non ci sono rivelazioni. Penso che il nostro sistema giudiziario sia abbastanza solido da sostenere l’impatto di una pellicola”.
Il cineasta ammette tuttavia di aver subìto pressioni per fermare l’uscita nelle sale. “Molti di coloro che ci attaccano, non hanno visto il film, quindi lo fanno per partito preso”. E aggiunge: “Le riprese, a parte alcuni esterni, sono avvenute in Belgio e Lussemburgo, proprio per evitare pressioni e censure da parte di una città estremamente cattolica”. Del resto, non sono mancate le difficoltà nel trovare finanziamenti, ad esempio Canal plus si è tirata indietro e il film aveva inizialmente.un “falso titolo” per sviare l’attenzione. In seguito gli avvocati di Preynat e di Régine Maire, che si era occupata degli abusi per conto della diocesi e che è accusata insieme al cardinal Barbarin di non aver denunciato all’autorità giudiziaria, hanno querelato la produzione chiedendo di non usare i nomi dei loro assistiti e minacciando di bloccare l’uscita. Attualmente Preynat è stato costretto dalla Chiesa alle dimissioni dallo stato clericale, ma è ancora sotto processo con la giustizia ordinaria, mentre il cardinale Barbarin, colpevole di “omessa denuncia dei maltrattamenti” in primo grado, ha presentato le sue dimissioni a Papa Francesco che le ha però rifiutate”.
“A Lione il film ha avuto un successo imprevedibile e inatteso – dice Ozon, a Roma per l’anteprima italiana – come d’altronde in tutta la Francia dove ha ottenuto un milione di spettatori. C’è stata una forte resistenza della Chiesa, una cosa che alla fine ci ha fatto anche pubblicità. Da parte della Chiesa – spiega il regista – si continua a parlare di tolleranza zero verso queste cose, ma di fatto le azioni non sembrano seguire questa volontà”.
Ozon ha raccontato di essere partito dal desiderio di fare un film sui sentimenti e le emozioni di alcuni personaggi maschili dopo aver a lungo raccontato l’animo femminile. “Quando mi sono imbattuto nel sito delle vittime, La Parole Libérée, mi ha toccato molto e ho capito di aver trovato l’argomento giusto”. Spiega di aver cercato il punto di vista umano, piuttosto che quello giudiziario: “La pedofila riguarda tanti ambiti della società, lo sport, le parrocchie ma anche la famiglia, anzi soprattutto la famiglia”.
A proposito della scelta di passare da un personaggio all’altro, spiega: “E’ andata proprio così. Alexandre ha veramente iniziato da solo a denunciare, poi c’è stato un commissario di polizia che ha dato il via a un’inchiesta e poi si sono aggiunte le varie testimonianze. Una sorta di passaggio del testimone tra i vari protagonisti”.
Ad agevolare il lavoro preparatorio d’inchiesta è stata proprio la scelta di un film di finzione: “Sia le vittime che i parenti erano stati intervistati decine di volte dalle tv, ma si sono fidati e aperti di più sapendo che si trattava di una storia di finzione e non di un documentario”. E ancora: “Non lo considero un film politico, ma piuttosto civile. Spero che aprirà il dibattito anche nella Chiesa, che romperà il silenzio”.
Grazie a Dio più volte chiama in causa le posizioni nette di Papa Francesco (decisive le sue dichiarazioni pubbliche nel convincere Alexandre ad aprire il caso dopo oltre trent’anni), ma il punto di vista è sostanzialmente laico e non manca una drammatica battuta sull’esistenza di Dio che sembra destinata a sparire sullo sfondo nonostante i costanti inviti dei prelati alla preghiera e al perdono. Anche se Ozon dice di non voler mettere in discussione la fede ma solo l’istituzione ecclesiastica, è difficile credergli fino in fondo.
Il film rilancia anche il discorso sui tempi di prescrizione dei reati sessuali (una delle richieste più pressanti del movimento #MeToo): “Per le vittime di abusi è molto difficile parlare, spesso lo fanno solo dopo essersi realizzate nella vita familiare e lavorativa. Vent’anni sono troppo pochi, adesso il limite è salito a 30, grazie a questa inchiesta, ed è un passo avanti”.
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