Proiezione e conferenza stampa agitate per il terzo film italiano del Concorso, E la chiamano estate di Paolo Franchi, interpretato da Isabella Ferrari, Jean-Marc Barr, Filippo Nigro e Luca Argentero, prodotto da Nicoletta Mantovani per Pavarotti International e distribuito da Officine UBU dal 22 novembre. In sala, all’anticipata stampa, alcuni dialoghi sono stati accompagnati da risate e da commenti sferzanti ad alta voce: ‘E lo chiamano film!?’
L’atmosfera infuocata dell’incontro con i giornalisti è stata per alcuni momenti quella di “una fossa dei leoni”, come ha rimproverato con tono pacato ma deciso la produttrice Mantovani. “Non capisco l’atteggiamento ostile dei giornalisti verso un un’opera d’autore e una produzione indipendente. Spesso lamentano che il nostro cinema non esce dagli standard. Noi ci abbiamo provato, raccontando il lato ‘B’ della vita e che non sempre tutto finisce con ‘e vissero felici e contenti’. Ma la reazione della stampa è come se avessimo fatto qualcosa di grave”.
Il regista ha difeso la sua creatura sottolineando che in Italia, impera il gusto televisivo e non c’è, per questa ragione, “nessuna forma di sperimentazione visiva. Il mio film è una ricerca personale, perché compito della cultura è proporre prodotti e forme diversi. Ben vengano allora esperimenti di ogni genere che rendono l’Italia e la sua cultura un Paese ricco, al di là che i miei film piacciano o meno”. Franchi si dice poi stupito e amareggiato per “la sguaiatezza e l’aggressività viste in conferenza stampa, per la pochezza delle domande. Non ho l’ambizione di rivolgermi a tutti, ma un Festival è un luogo dove si manifestano le tante ricerche filmiche. Müller è stato anacronistico e coraggioso nell’aver selezionato il mio film per il Concorso”.
Il film racconta il rapporto d’amore senza sesso tra l’anestesista Dino (Jean-Marc Barr) e Anna (Isabella Ferrari). Il 40enne Dino è segnato dalla depressione per la perdita del fratello morto suicida e per la successiva fuga della madre. Ama intensamente Anna, ma è convinto di non meritarsi una donna così bella e appassionata e dunque rifiuta di consumare con lei il rapporto sessuale. La contrapposizione tra sentimento ed eros in Dino è così forte da spingerlo a fare compulsivamente sesso soltanto con coppie di scambisti e prostitute. Dino, nonostante il suo amore dichiarato per Anna, sprofonda sempre più nel vuoto, nell’abisso fino a rivedere i suoi ex fidanzati e chiedere loro di tornare con Anna. Anche lei è invischiata in questa condizione autopunitiva e senza uscita, non vuole rinunciare a questo rapporto tormentato e malato che la fa sentire profondamente amata, unica.
La fonte di ispirazione di E la chiamano estate – il titolo è la famosa canzone di Bruno Martino degli anni ’60, un evidente contrappunto – è stato il caso di un paziente raccontato dalla rivista della Società psicoanalitica italiana. E poi le suggestioni di alcuni romanzi di Alberto Moravia e di un certo cinema italiano degli anni ’60. “Volevo raccontare l’amore che può essere inteso anche come una condivisione del dolore, come qualcosa di profondo e che può essere considerato fuori dai canoni imposti dalla società, come veleno, lontano dai baci Perugina”, spiega il regista, alla sua terza opera dopo La spettatrice e Nessuna qualità agli eroi.
Come stile narrativo l’autore ha scelto “una drammaturgia diversa dal racconto classico. Qui il tempo non è cronologico, ma il risultato di una commistione di presente, passato e premonizione del futuro. Un tempo acronologico interiore”. E allora un andamento narrativo frammentato, fatto di brevi monologhi, scene reiterate, immagini che alludono ai sogni e ai ricordi, sequenze girate con il cellulare. “Non ho fatto nulla di nuovo, il mio è un film pieno di citazioni, a cominciare da Alain Resnais“.
“Mi piace il cinema che suscita dibattito e il film di Franchi con il suo contenuto provocatorio tenta di modificare lo sguardo del pubblico sull’amore e sul sesso”, dichiara Jean-Marc Barr che presto vedremo nell’ultimo film di Lars Von Trier Nynphomaniac. Il regista l’ha voluto da subito perché il suo volto evoca la tragicità, ma non la nevrosi. “Anna è una donna anche feroce, amante della sua solitudine, che ha rifiutato la gabbia del matrimonio. Una donna forte che si salva”, dice Isabella Ferrari del suo personaggio. E aggiunge di non aver provato disagio a girare scene di nudo, di solito difficili da interpretare. “Mi sono lasciata filmare senza oppormi, andando verso la nudità con morbidezza, senza pudore, senza l’angoscia di non avere il costume. C’era un senso di libertà e di freschezza in questa idea di sentire il vuoto”.
Alla fine Franchi rivela di averla scelta per i suoi occhi malinconici e la dolcezza. “E poi l’ho amata fin dal suo primo film, Sapore di mare“. Grazie fratelli Vanzina.
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