In occasione dell’uscita del film Il cattivo poeta, in sala il 20 maggio, diretto da Gianluca Jodice e con Sergio Castellitto nel ruolo di Gabriele D’Annunzio, di cui la pellicola racconta la parabola finale, abbiamo intervistato il giovane attore Francesco Patanè, che ha il ruolo di co-protagonista, interpretando Giovanni Comini, giovane gerarca fascista che aveva il compito di sorvegliare D’Annunzio.
“Vengo dal teatro – spiega l’attore comprensibilmente entusiasta – sono nato a Genova e ho studiato da quand’ero piccolo, prima in una scuola e poi allo Stabile. Mi è arrivata la grande opportunità appena giunto a Roma. E’ in assoluto il mio primo set e la fortuna è stata quella di avere un ruolo subito importante, con tante pose, tante azioni e moti di pensiero diversi. E Castellitto ti insegna tanto anche solo standoci accanto”.
Ma chi è il personaggio che interpreta, esattamente? “Comini era uno dei gerarchi più giovani, bresciano, 27 anni. Ha un compito scomodo che gli viene direttamente da Achille Starace. Un ruolo che lui stesso trova antipatico e scomodo. In un momento in cui la guerra sta per iniziare dover sorvegliare un poeta anziano negli ultimi anni di vita non fa certo gola. Invece questo compito lo porterà a un percorso di scoperta di sé e presa di coscienza, non solo del posto di D’Annunzio nell’Italia e l’Europa del periodo, ma anche del suo. Da pedina in un gioco più grande di lui si accorge di poter essere un individuo libero con un pensiero proprio, e glie lo insegna proprio D’Annunzio”.
E per il Patanè attore, invece, il ruolo è stato scomodo? “Fin da piccolo ho avuto un’ossessione di quel periodo storico, è stato curioso sapere come si potesse arrivare a certi atti e certe conseguenze. E vestire quella divisa psicologicamente, e sentirsela addosso è stato interessante come attore perché mi ha permesso di regalare e di esplorare quel mondo che per me è sempre stato superficialmente oscuro e negativo chiedendomi ‘e se fossi io in quel periodo lì?’. Giovanni non ha alternative, non ha conosciuto libertà diverse dalle promesse del fascismo, cede alla lusinga di quelle promesse e ci crede sinceramente. E’ giovanissimo e l’ingenuità con cui abbraccia quell’ideale è genuina. Ed essendo lui genuino arriva a prendere coscienza e a redimersi dalla scelta abbracciata e non capita fino in fondo. La fortuna di Comini è stata incontrare D’Annunzio. Ha avuto la fortuna di trovare qualcuno che gli offrisse una promessa di libertà diversa, più libera, ondeggiante e sinuosa della rigidità di linea fascista”.
FOTO: Paolo Ciriello
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