In un’interessante intervista a Quinlan il delegato generale della Settimana internazionale della critica Francesco Di Pace fa il bilancio del suo lungo mandato che si conclude quest’anno. Tra le altre cose lancia una riflessione sullo stato di salute del cinema italiano, rappresentato nella competizione 2015 della Sic da Banat (Il viaggio) di Adriano Valerio. “E’ l’opera prima migliore che abbiamo visto – dice Di Pace – anche se condivido l’idea che sia un film un po’ acerbo. Quest’anno dovevamo per forza di cose andare in cerca di qualcosa “in nuce”, di qualcosa che stava lì e ti dimostrava che un autore ha uno sguardo e una capacità di racconto diversa dagli altri, anche se questa si esprime in un film un po’ piccolo, un po’ fragile. (…) Devo dire che il livello degli italiani è stato un po’ deludente. Purtroppo delusioni sono arrivate anche da persone e nomi che avevano già lavorato, chi nel documentario, chi nel corto, ma che ci hanno presentato delle opere che non ci convincevano. Alcuni avevano l’alibi della storia, del tema, ma trascuravano la forma, in altri le storie non reggevano minimamente e c’erano delle pretenziosità stilistiche esagerate. Oppure c’erano anche film che avremmo potuto furbescamente scegliere perché magari avevano un cast o appartenevano a un genere di richiamo, tipo commedia-thriller-pulpfictionesca, ma eravamo tutti d’accordo sul fatto che questo tipo di operazioni non ci interessavano. E quindi io sono contento di Banat: credo che questo film, così come Arianna di Carlo Lavagna che stava alle Giornate e per certi versi anche L’attesa di Piero Messina siano, pur nei loro limiti, tra gli esordi migliori che si sono visti a Venezia 2015″. E ancora: “Il cinema italiano è malato, malato di qualcosa che non lascia sviluppare quei talenti – che a questo punto non so nemmeno più se ci siano – che vogliono rischiare con dei film più coraggiosi. Penso che chi ha le idee e il talento si diriga verso altre forme, verso le web series ad esempio, e il cinema d’autore soffra un po’ dei soliti dilemmi: faccio il film impegnato, pensoso con un linguaggio astruso oppure no, perché magari Rai Cinema mi dà i soldi se faccio una commedia e ho un cast”.
Il nuovo delegato della Settimana della critica sarà nominato nelle prossime settimane dal Consiglio Nazionale del Sncci.
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"Il film - per i critici del Sncci - è un sorprendente ripensamento dell’intera storia del cinema italiano, dal muto a Rossellini sino alla nostra più prolifica stagione sperimentale”