Francesco Di Leva: “Dopo ‘Familia’ sono un padre più attento”

L'intervista all'attore che interpreta un padre violento nel film di Francesco Costabile, presentato alla quarta edizione delle Giornate del Cinema per la Scuola


PALERMO – Dopo l’anteprima a Venezia 81 nella sezione Orizzonti e la distribuzione in sala, Familia, il nuovo film di Francesco Costabile, arriva alle Giornate del Cinema per la Scuola 2024 di Palermo. A incontrare il pubblico di docenti e studenti c’è Francesco Di Leva, l’attore napoletano che nel film interpreta il padre violento e possessivo che tiranneggia i figli e la moglie, portandoli allo stremo. Il film tratto dall’autobiografia Non sarà sempre così di Luigi Celeste, è un’occasione per parlare di tematiche cruciali per i giovani, gli educatori e i genitori, con un interprete e un artista che da anni si spende nella formazione, in particolare con la sua scuola di teatro alla periferia di Napoli, il NEST.

Francesco Di Leva, quale messaggio vorrebbe che gli studenti imparassero dalla storia di Luigi Celeste?

Sono un attore che non ama tanto lasciare i messaggi personali, mi sembra come un regalo con il cartellino del prezzo attaccato. So solo, da fruitore di cinema, che questo film lascia tanto ai giovani. L’ho testato personalmente con i miei figli, due adolescenti di 17 e 15 anni, che ne sono usciti davvero illuminati, perché questo film lascia ai ragazzi dei chiari segnali di atteggiamenti che nascondono il male.

Delle sorte di indizi.

Degli indizi da leggere che però sono chiari a tutti. A un attore, a un casalingo, a uno studente. Lo abbiamo capito dai tanti incontri che abbiamo fatto. In certe situazioni, in certe periferie di città come Palermo, Milano o Napoli, in zone che io frequento quotidianamente, alcuni atteggiamenti vengono scambiati come normali, perché lo sono all’interno delle famiglie. Questo è un film che spulcia all’interno di una famiglia, mette l’occhio sulla serratura e riesce a guardare oltre la porta, dove c’è l’intimità, dove ci dovrebbe essere pace, amore, tenerezza e, invece, vai a capire che certi atteggiamenti da parte dei genitori sono sbagliati.

Come quando si scambia la possessività per amore.

Esatto. Noi siamo abituati in certi quartieri a imporre ad alcune fidanzatine o fidanzatini di avere certi atteggiamenti o no. Nel gruppo teatrale che seguo ogni giorno abbiamo ragazzi dagli 8 ai 27 anni, e una delle che riscontriamo frequentemente riguarda l’abbigliamento. Imporre alle donne come vestirsi viene visto come atto di gelosia, d’amore. In realtà è sinonimo di qualcosa di marcio. Dopo quello si passa allo schiaffo perché devi stare zitta. Alcuni atteggiamenti devono essere percepiti come qualcosa di malato, non di normale.

Guardando alle nuove generazioni si può avere un po’ di speranza in merito?

Io lavoro con i ragazzi quindi, anche se vedo intorno a me un disastro, devo essere speranzoso. Vado fiero del fatto che questo sia considerato un film sociale. Io ho portato Gomorra in giro quando la gente non sapeva neanche cosa fosse. Abbiamo fatto 326 repliche e la gente voleva sapere da noi perché non si dovessero seppellire rifiuti tossici. Familia dà le domande e le risposte: mi auguro che i ragazzi siano accompagnati dai genitori, per analizzare assieme questo film. Perché è un film necessario.

Quanto è stato importante incontrare di persona Luigi Celeste? Come ha reagito alla visione del film?

L’ho incontrato dapprima a Torino, quando è venuto a vedere un mio spettacolo insieme a Francesco Costabile, e poi abbiamo fatto un incontro con tutta la famiglia a Milano. È stato bello, emozionante e anche un po’ traumatico, personalmente. Perché tu leggi una storia scritta dagli sceneggiatori, vedi lo sguardo del regista, c’è una produzione: è tutto finto, di cartapesta. Poi negli occhi di Luigi Celeste vedi una persona che questa cosa l’ha subita sulla sua pelle. Ci trovi le ferite, non soltanto in lui: è una ferita aperta in una famiglia. Al di là del fatto che Franco Celeste fosse un mostro, perché lo era, gli ha fatto passare anni di inferno. Abbiamo avuto l’occasione di conversare anche dopo, a Venezia, e lui sta attraversando questo dolore.

È stato in qualche modo catartico?

Sì, lo ha detto lui stesso. È un film che ha scosso tutti quanti noi, ha avuto il peso di raccontare una storia vera, cruda, necessaria.

Recentemente, a Roma, ha portato Nottefonda, in cui interpreta un padre molto diverso da Franco Celeste. Come è stato entrare nei panni di questi due tipi di padre, uno dopo l’altro?

Grazie per la domanda. Una riflessione che ho fatto anche io mentre stavo andando a presentare Nottefonda è che la vita, come attore e come persona, mi ha messo di fronte a due padri completamente diversi: in questo altro film è uomo che sta affrontando il lutto della moglie, con il proprio figlio. Ogni giorno sul set provavo a percepire il suo dolore, quanto è più grande il dolore che tu percepisci, tanto è stato grande l’amore che ti ha lasciato. Dall’altra parte, c’era una persona che l’amore lo ha distrutto, lo ha devastato. È stato un love bomber. Quello che noi siamo abituati a vedere nelle nostre periferie, con i ragazzi che si fidanzano e dopo un attimo ti mandano mille rose a casa, un paio di scarpe da 400 euro. Ci sono luoghi dove si deve sempre mostrare.

L’amore è vero solo quando lo sanno tutti.

Quella manifestazione d’amore è sintomo di qualcosa di malato che arriverà poi. Io lo so, l’ho visto recentemente anche con mia figlia Morena. Ha ricevuto dei fiori che non erano firmati e io li ho mandati indietro dicendole: ‘basta che ti vuole bene. Non serve manifestare nulla’. È un gesto carinissimo, ma io so quale è la mentalità che si nasconde dietro. Per questo la speranza non basta, bisogna fare i fatti, con le piccole cose. Bisogna chiedersi nel nostro piccolo cosa possiamo fare. Ieri ero a tavola con i miei figli e abbiamo parlato di quel ragazzo ammazzato a San Sebastiano. Un paio di scarpe calpestate a due imbecilli usciti solo per manifestare la propria violenza. Il padre qui fa tanto.

La violenza si eredità?

Tutta la famiglia Celeste non ha avuto punti di riferimento. La madre era preoccupata di portare avanti una famiglia in quei tempi così difficili, perché vorrei ricordare che si racconta una storia di 30 anni fa. Ora tante cose sono cambiate. La parola stalker all’epoca non esisteva: Franco la pedinava e lei non poteva fare niente.

È un film che ha avuto un impatto anche sulla sua famiglia?

Si chiede sempre all’attore come affrontare i problemi, ma noi facciamo gli attori non gli psicologi. Ma se ti interroghi come padre, trovi delle risposte a quelli che sono i tuoi atteggiamenti. Io da quando ho fatto questo film ho cambiato certi atteggiamenti nella mia famiglia. Faccio più attenzione, perché devo abituare mia figlia a un comportamento diverso.

Sono piccoli comportamenti, a volte involontari.

Sono involontari, assolutamente, ma noi abbiamo il dovere di fare attenzione.

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