Francesca Marciano: “Sceneggiatori trascurati dal cinema italiano”

La sceneggiatrice, in giuria al TFF insieme a Guillermo Arriaga, polemizza con la nostra industria. "Spesso mi chiamano solo per sistemare i personaggi femminili"


TORINO – Una cosa è certa. È una giuria di amanti della scrittura quella del 31° TFF. Il presidente, Guillermo Arriaga, nato a Città del Messico nel ’58, è sceneggiatore, prima che regista, in parte artefice del successo di Alejandro Gonzalez Inarritu con la trilogia composta da Amores perros, 21 grammi e Babel. Nel 2005 ha vinto il premio per la sceneggiatura a Cannes con Tre sepolture diretto da Tommy Lee Jones, poi è passato a dirigere nel 2008 con The Burning Plain.
Forse anche grazie a lui quest’anno nasce anche a Torino un premio ufficiale per la sceneggiatura. “Di come sono scritti i film ne discutiamo dopo ogni visione”, ci rivela Francesca Marciano, la giurata italiana. Ha partecipato alla scrittura di film importanti, solo nell’ultima stagione citiamo Io e te di Bertolucci e Miele, l’esordio di Valeria Golino. “È quasi impossibile fare un bel film da una brutta storia e se il talento non è sostenuto fino in fondo da una scrittura forte e coerente non c’è niente da fare”, dice. Ma l’industria italiana sembra poco sensibile all’argomento. “Siamo ancora lontani dall’aver riconosciuto il ruolo degli sceneggiatori – prosegue Marciano – continuiamo a considerare i film dei registi. E spesso mi capita di essere chiamata solo perché ci sono dei personaggi femminili da sistemare, come un idraulico che deve riparare una lavatrice. Invece la storia viene prima di tutto”.  

Le dà manforte il direttore del festival Paolo Virzì: “Quello che viene prima di un film è il suo progetto, la sua anima, il suo pensiero. Per questo guardo con ironia i miei colleghi che amano farsi fotografare in groppa ai dolly con l’aria di star lì a improvvisare, mentre anche nel film più vicino al docudrama dietro c’è un pensiero”. Inutile chiederlo ad Arriaga: “Ho iniziato come sceneggiatore ed è evidente quello che posso pensare. Ma scrivere è difficile e la nostra società ha perso sempre più la capacità di ricreare quello che è la realtà, di andare a fondo, di avvicinarci alla vita interiore. Attorno a noi ci sono schermi dappertutto e sempre più la gente è presa da videogames, computer e telefonini perdendo il gusto di interagire tra esseri umani”. Tace il giurato cubano Jorge Perugorrìa, attore di Fresa y chocolate. Si dissocia, forse per motivi anagrafici, Aida Begic, da Sarajevo, autrice di film premiatissimi, nata nel ‘76. “Aspetto una macchina che traduca direttamente dal mio cervello le immagini in film. Nella società occidentale siamo molto legati al testo, forse troppo. In Oriente neanche il teatro lo è così tanto. Ma la sceneggiatura non morirà, il suo ruolo continuerà come ora, forse ci sarà qualche evoluzione dal punto di vista della transmedialità ma neppure troppo”. Conclude Stephen Amidon, classe 1959, scrittore americano (dal suo libro Il capitale umano Virzì ha tratto il suo nuovo film). “Gli scrittori americani della mia generazione sono figli non solo dei libri che hanno letto ma anche, forse soprattutto, dei film che hanno visto: Scorsese, Coppola, Bob Rafelson”.

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