Frances McDormand, “on the road a lezione di socialismo”

Il concorso di Venezia 77 si chiude con Nomandland di Chloé Zhao con protagonista Frances McDormand insieme alle comunità di nuovi nomadi americani


VENEZIA – Il concorso di Venezia 77 si chiude con un film che mette tutti d’accordo, Nomandland di  Chloé Zhao (The Rider Il sogno di un cowboy e prossimamente un film Marvel, The Eternals) con una Frances McDormand, anche produttrice, totalmente dedita al personaggio e alla storia. Adattamento del libro di Jessica Bruder Nomadland – Un racconto d’inchiesta, il film vive della presenza vibrante delle comunità di nuovi nomadi americani e della loro utopia concreta di vita ecosostenibile al di fuori della dittatura del dollaro.

Da Empire, un piccolo centro del Nevada diventato città fantasma dopo la chiusura dell’unica fabbrica di cartongesso che dava da mangiare a tutti, la sessantenne Fern svuota casa, attrezza il suo furgone e si mette in viaggio. Non rifiuta il lavoro, che anzi ama, e lungo la strada trova varie occupazioni precarie e stagionali (dai pacchi di Amazon durante il periodo natalizio alla vendita di pietre e souvenir). Nel frattempo acquista sicurezza grazie all’incontro con una comunità di nomadi che vive di baratti e solidarietà con estrema dignità e spirito creativo. Alla merce’ delle intemperie e al cospetto dei paesaggi dell’Ovest americano, imparando a fare a meno di quasi tutto, i nomadi sperimentano un sentimento di libertà inaudito che sembra anche poter curare chi esce da brutti colpi esistenziali: la morte dell’amato marito o il suicidio di un figlio.

Con i veri nomadi Linda May, Swankie e Bob Wells nella veste di guide e compagni di Fern, il film abbozza anche una possibile storia d’amore tra la protagonista e un altro viaggiatore, Dave (David Strathairn). Racconta la regista, nata a Pechino, educata negli States: “Nell’autunno del 2018, mentre giravo Nomadland a Scottsbluff, Nebraska, vicino a un campo ghiacciato di barbabietole, mi ritrovai a sfogliare Desert Solitaire di Edward Abbey, un libro che mi aveva regalato qualcuno incontrato sulla strada. Sfogliandolo incappai in questo passaggio: ‘Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare… a volte penso, senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale. Roccia e sole’. Per i successivi quattro mesi, mentre ci spostavamo per girare il film, fu un continuo andirivieni di nomadi; molti di essi conservavano rocce raccolte durante le peregrinazioni a bordo delle loro case su ruote alimentate dal sole. Dispensavano storie e saggezza davanti e dietro l’obiettivo della telecamera. Essendo cresciuta in città cinesi e inglesi, sono sempre stata profondamente attratta dalla strada aperta, un’idea che trovo tipicamente americana: la continua ricerca di ciò che sta oltre l’orizzonte. Ho tentato di catturarne uno scorcio in questo film, sapendo che non è possibile descrivere veramente la strada americana a un’altra persona. Bisogna scoprirla da soli”. 

La parentela con Into the Wild di Sean Penn è solo apparente. Chloé Zhao – che volutamente evita il film politico o di denuncia – non vuole raccontare il perdere se stessi, ma piuttosto il ritrovarsi. A contatto con la straordinaria natura americana, Fern elabora la sua storia passata e gli incontri con gli altri, che siano stanziali come la sorella, o vagabondi come l’amica che sta morendo di cancro, non fanno che perfezionare la sua conoscenza di se stessa, della vita e della morte, dunque la sua solidità interiore. “Quel paesaggio grandioso – spiega Frances McDormand in collegamento streaming – fa parte della storia e dell’immaginario americani”. Così come la figura del vagabondo, l’hobo. “La strada – spiega la regista – le dà qualcosa che una casa non potrebbe mai darle”. Nel film Fern non è mai messa in pericolo o aggredita o maltrattata (neppure quando lavora da Amazon, dove i ritmi sembrano comunque umani, perché, spiega la regista, non era quello il mio bersaglio, volevo una storia universale). Anzi, gli incontri che fa sono sempre nel segno dell’amore per il prossimo. “Queste persone – dice Frances, Coppa Volpi speciale andata all’intero cast di America oggi di Altman, Oscar per Fargo e più di recente per Tre manifesti a Ebbing, Missouri – hanno bisogno di comunità. Quindi si uniscono per poi separarsi di nuovo. E’ una forma di socialismo in cui sono uno per tutti e tutti per uno”. E quando le chiedono cosa le abbia lasciato questo incontro con loro, si commuove: “Il loro regalo è una grande umiltà”. 

E’ interessante anche notare che il film si concentra su persone di una certa età (c’è solo un incontro con un nomade giovane). “I babyboomer – afferma Chloé Zhao – hanno valori forti e sono dei gran lavoratori, il libro di occupa più che altro di loro, specialmente di donne anziane che hanno vissuto sempre in una casa normale e che si trovano per la prima volta ad affrontare la vita di strada. Ma ovviamente ci sono anche giovani vagabondi “.

“Si sceglie la strada – interviene Frances, che ha lavorato davvero nei parchi naturali o nella raccolta di barbabietole senza essere riconosciuta dai colleghi, anzi in un bar del Nebraska le hanno persino offerto un lavoro e lì ha capito di essere diventata Fern – per motivi sociali come la crisi economica ma anche e soprattutto per allargare lo spirito, in questo il confinamento dovuto al Covid ha accresciuto questa tendenza. La specie umana si evolve e il movimento fa parte di questa evoluzione”. E a chi le chiede di fare un paragone con la protagonista di Tre manifesti risponde: “Da trent’anni racconto le donne americane della working class”.  

Infine, la regista spiega come mai ha scelto le musiche di Ludovico Einaudi. “Cercavo su google musica classica ispirata alla natura ed è uscito lui che suonava il pianoforte su un lago o con un ghiacciaio che crollava sullo sfondo, mi è sembrato perfetto”.

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