Frances McDormand, la rabbia di un’eroina disperata

Accoglienza calorosa al Festival per 'Tre manifesti a Ebbing, Missouri' di Martin McDonagh con una brava Frances McDormand nei panni di una madre esasperata dall’omicidio insoluto della figlia


VENEZIA – “Violentata mentre moriva, e ancora nessun arresto. Come mai, capitano Willoughby?”. Questo il grido d’accusa lanciato da una madre esasperata dall’omicidio insoluto della figlia nel film in concorso a Venezia Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, premio Oscar per il corto Six Shooter, accolto molto calorosamente dalla stampa al Festival. Una pellicola che parte dalla rabbia profonda, quanto impotente, di una donna forte ma devastata dal dolore, Mildred Hayes, magistralmente interpretata dall’attrice premio Oscar Frances McDormand, che decide di rompere il silenzio dell’attesa apparentemente vana di un colpevole, comprando tre cartelloni stradali che generalmente indicano la direzione verso la propria cittadina, per scrivere un messaggio polemico nei confronti dello stimato capo della polizia locale. Una donna della classe operaia che soffre e che, senza rimorsi, decide di scuotere la situazione e la propria città, cercando in quel gesto la possibilità di mettere un po’ di speranza nel vuoto del suo orizzonte disperato. “Una specie di eroe western al femminile”, la definisce l’attrice che spiega di aver studiato, per calarsi nella parte, i personaggi maschili dei film Anni ’70: “Per creare Mildred mi sono ispirata soprattutto a John Wayne, un figura iconica che ha resistito all’usura del tempo. Nel film ho portato la sua camminata e il suo modo di comportarsi, anche perché non c´erano modelli femminili analoghi su cui basarmi”. Tra lei e il capitano Willoughby (interpretato da Woody Harrelson) c’è un rapporto di conflitto che sembrerebbe irrisolvibile, ma è “una guerra fra due persone, entrambe, in qualche modo, nel giusto – spiega McDonagh ed è proprio questo a generare dramma e tensione”. Sono tensioni che nascono dalla rabbia non placata, dalla disperazione che non lascia spazio alla pietà per gli altri. “Una delle cose a cui ho pensato, quando mi sono preparata a interpretare Mildred, è che la sua condizione non ha una definizione nella maggior parte delle lingue – osserva McDormand –  Se perdi un marito sei una vedova, se perdi un genitore sei un orfano. Ma non c’è una parola che definisca un genitore che perde un figlio perché non è un evento contemplato biologicamente. È qualcosa che va al di là del linguaggio”. È qui che si trova Mildred, in un luogo dove non ha niente da perdere e non ha nessuna pietà per chiunque le sembri intralci il suo cammino. Non sempre, forse, si riesce a condividere o capire il suo comportamento, ma alla fine non si può del tutto detestarla o criticarla.

Oltre all’aspetto drammatico il film è pervaso costantemente da un umorismo tagliente: “Il doppio carattere del film, al tempo stesso sia umoristico che melanconico, è un aspetto che Martin McDonagh ha curato alla perfezione”, sottolinea McDormand. Già il copione a partire dalla sceneggiatura conteneva questi elementi, un eccellente esempio di letteratura che ha fatto in modo che noi interpreti non ci perdessimo troppo nella melanconia”. Al tempo stesso il film riesce a restituire la profondità emotiva e le diverse sfaccettature, a tratti spiazzanti, dei personaggi che non appaiono mai del tutto buoni o cattivi, innocenti o colpevoli. “Basta leggere l’umanità in ciascuno di noi, senza voler vedere solo cattivi e eroi – spiega il regista. Mildred, ad esempio, è sia l’eroina che l’antieroina del film. Tutti i personaggi hanno del buono in loro, anche quelli più sgradevoli, come può essere il poliziotto razzista. L’atteggiamento da avere, in questo caso, è cercare di capire perché certe caratteristiche negative sono venute fuori. Il segreto è l’empatia, trovare l’umanità in ciascuno di noi”.  

Nel film, in sala dal 18 gennaio con 20th Century Fox, anche Sam Rockwell nei panni di un agente di polizia immaturo, intollerante e violento. Un’incarnazione praticamente di tutte le qualità umane deprecabili, omofobia e razzismo in primis, ma non una critica diretta all’America di oggi, come sottolinea McDonagh: “Non credo che l’America sia più razzista o ridicola di altri paesi, è solo una nazione che in questo momento sta vivendo un percorso particolare, ma bisogna sottolineare che ci sono anche molte persone che si ribellano alla situazione”. Malgrado le sue colpe e la sua malvagità c’è qualcosa in Sam che lo fa apparire anche al tempo stesso fragile e profondamente triste. Un aspetto che rende il suo personaggio più comprensibile, e l’unico inaspettatamente capace, alla fine, di smorzare la rabbia di Mildred e darle “almeno un giorno di speranza”.  

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04 Settembre 2017

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